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L’ITALIANO NON DEVE AVERE COMPLESSI DI INFERIORITA’

di Giuseppe Rusconi, apparso sul Corriere del Ticino di lunedì 30 aprile 2012

Martedì mattina è stato presentato a Roma, presso l’Associazione Civita, il programma radiofonico internazionale La via Francigena da Roma a Gerusalemme: per sette settimane, dal 2 maggio al 16 giugno, diversi

giornalisti-pellegrini riferiranno dello sviluppo dell’itinerario spirituale e culturale euro-mediterraneo che unisce due tra le città cardine della nostra civiltà. Al progetto, animato in particolare dal vicedirettore di RadioRai Sergio Valzanìa, partecipa anche la Comunità radiotelevisiva italofona, i cui soci fondatori (1985) sono la Rai, la Rsi (che dunque si collegherà giornalmente alle otto di sera con il pellegrinaggio), Radio Capodistria, Radio San Marino, Radio Vaticana. Oggi alla Comunità sono associate tra le altre Radio Fiume, Radio Pola, Radio Romania, Radio Albania, TV Sat 2000. Tra i relatori a Piazza Venezia il direttore della Rsi Dino Balestra, che ha ricordato l’etimologia di ‘pellegrino’, da per ager, “quell’andare oltre i campi, là dove ci si deve fare stranieri”. Succedendo a Remigio Ratti, dal 2010 Dino Balestra è anche il presidente della Comunità…

.. un incarico solo onorifico? O anche un compito stimolante?

Non è solo una questione di onori. Piuttosto si tratta di elaborare quelle strategie comuni tra i membri della Comunità perché la lingua italiana possa essere un luogo d’incontro, anche di promozione…

Che cosa intende per promozione?

Uno scambio di programmi ospitati dalle diverse emittenti radiofoniche, confermando come la lingua sia un veicolo prioritario di incontro. Non si tratta insomma, attraverso la Comunità, di difendere il ‘ridotto’ dell’italiano incarnato da Dante, Petrarca e Boccaccio, ma di ‘osare’, manovrando dinamicamente sulla linea di frontiera delle lingue.

Impegno non facile, dato il calo progressivo del peso dell’italiano nel mondo. Addirittura è di un paio di mesi fa la decisione del Politecnico di Milano di adottare – a partire dal 2014/15 – l’inglese come unica lingua per i corsi di laurea magistrale e i dottorati…

E’ una decisione che lascia perplessi. E’ vero che l’italiano è in declino, oggettivamente si trova in una fase critica. Dominano le lingue del business, che oggi sono diventate anche quelle delle grandi innovazioni, perfino della cultura: parlo naturalmente in primo luogo dell’inglese. L’italiano non ha più, neanche come lingua della cultura per eccellenza, quella forza d’irradiazione che aveva un tempo.

E’ ancora seriamente ipotizzabile una reazione incisiva a tale decadenza?

L’italiano non potrà più tornare a essere una lingua-guida. Bisogna fare in modo che possa essere una lingua di incontro, di scambio. Prima di tutto occorre crederci, mostrando un impegno non solo con le parole, ma con i fatti.

Che ruolo assume la Svizzera italiana all’interno della Comunità radiotelevisiva italofona?

Un ruolo propulsivo verso Nord. I nostri programmi coprono l’intero territorio nazionale. Vi manteniamo dunque la presenza della lingua italiana come lingua della cultura italiana. Di più: proponiamo una cultura ‘filtrata’ attraverso gli occhi della lingua italiana. Penso che questo sia un contributo irrinunciabile alla multiculturalità, aspetto fondante dell’elveticità. Perciò è evidente che rinunciare al nostro contributo sarebbe come mutilare una parte dell’identità confederale.

Anche in Svizzera il peso dell’italiano sta sensibilmente diminuendo, nonostante la Legge sulle lingue del 2007 e l’ordinanza d’applicazione del 2010…

La Svizzera non è al di fuori del mondo. Dove sono i centri del potere politico, economico, finanziario, innovativo? Oltregottardo. Per accedere a tali centri diventa necessario cambiare lingua. Il nostro obiettivo di italofoni deve essere ambizioso: bisogna (ri)guadagnarsi la Svizzera…

In quale senso?

Non sarebbe ragionevole sperare che l’italiano possa puntare in Svizzera a un posto in prima fila tra le lingue. Però, con l’indispensabile capacità creativa, innovativa, politica si può puntare a un ruolo dignitoso anche per una lingua fragilizzata come la nostra.

A tale scopo è opportuno mobilitare partiti e associazioni?

Partiti e associazioni possono essere preziosi, ma non direi ci sia bisogno di grandi programmi politici. Al di là delle cerimonie di facciata, il compito spetta soprattutto a ognuno di noi, già a partire dai piccoli gesti quotidiani. Noi svizzero-italiani dobbiamo agire in modo da ridiventare interlocutori ascoltati dei grandi movimenti politici svizzeri. L’italiano deve uscire dalla marginalizzazione, dall’uso conviviale corrente per riacquisire la dignità che spetta a una delle lingue costitutive della Svizzera, una dignità che incide costruttivamente sulla realtà confederale. Dobbiamo scuoterci, andare là dove c’è da scoprire, misurarsi e magari soffrire… Hic sunt leones…, lasciarci alla spalle il complesso di inferiorità che ci porta alla rassegnazione.

Però l’italiano in Svizzera resta ancora più diffuso – almeno a livello di comprensione – di quanto non appaia dalle statistiche. Non pochi svizzero-tedeschi sono contenti quando sentono risuonare la lingua del ‘sì’ su labbra italofone…

E’ vero e del resto l’italiano muove a simpatia gli svizzero-tedeschi che lo ascoltano. Però sarebbe bello – e bisogna impegnarsi perché ciò accada – riuscire a passare da ‘lingua della simpatia’ a ‘lingua dell’interlocuzione’.

Noi come svizzero-italiani… In effetti il mondo dell’immigrazione italiana, che negli Anni Settanta e Ottanta era ancora un grande serbatoio linguistico della lingua del ‘sì’, ha perso molto in italianità. Basta riferirsi ai numeri di un tempo e a quelli odierni… Senza contare che in quegli anni l’italiano, Oltregottardo, era divenuta una sorta di lingua franca anche per le comunicazioni di spagnoli e portoghesi…

Oggi non è più così. Certo i numeri pesano. In tanti casi all’interno dell’immigrazione peninsulare l’italiano è diventato una sorta di vernacolo di famiglia… non è più una lingua veicolare con e tra le nuove generazioni ormai integrate nella comunità in cui vivono. Per integrarsi hanno imparato, hanno dovuto e voluto imparare lo svizzero-tedesco, il tedesco, il francese. Ormai per loro l’italiano è una lingua ereditata ma non più praticata, se non nella cerchia ristretta della famiglia.

intervista a Dino Balestra