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INTERVISTA AL PATRIARCA MARONITA BECHARA BOUTROS RAI articolo di GIUSEPPE RUSCONI, apparso sul ‘Corriere del Ticino’ di giovedì 26 luglio 2012.

“Come si può parlare di ‘primavera araba’ in Siria, quando le vittime cadono quotidianamente a decine, a centinaia? Quando si distruggono le città e i cittadini si trasformano in profughi? Non si sa dove si andrà a finire con questa violenza, con questa guerra. Al momento l’orizzonte politico è ancora chiuso”. Il patriarca maronita libanese Béchara Boutros Raï risponde volentieri alle domande del ‘Corriere del Ticino’ sulla Siria. Appare però molto preoccupato per quanto sta accadendo nel Paese con cui il Libano ha sempre avuto i rapporti più stretti, anche conflittuali: non si può dimenticare che le truppe siriane entrarono negli Anni Settanta, come ‘forza interaraba di interposizione’ nel Libano immerso nella guerra civile e ne uscirono solo quasi trent’anni dopo…”Quanto sta succedendo in Siria è molto grave e minaccioso per tutti i siriani come per i libanesi, particolarmente per i cristiani a livello politico ed economico”.

Tradizionalmente in Libano il patriarca maronita ha un ruolo che non è solo religioso (è a capo di milioni di maroniti, cattolici orientali, sia residenti nel Paese dei Cedri che emigrati in diverse parti del mondo), ma anche civile: i libanesi guardano a lui come garante dell’unità nazionale. Lo abbiamo raggiunto nella residenza estiva di Dimane (nord del Libano) dove sta preparando – collaborando con il Presidente della Repubblica, il maronita Michel Sleiman – il previsto viaggio papale a metà settembre. Il patriarca Raï ha seguito con grande attenzione lo sviluppo dei diversi fenomeni compresi nella ‘primavera araba’ e non si mostra ottimista: “Non c’è per il momento nessuna stabilità politica ad esempio in Libia né in Egitto. Si nota però che è stato fatto un po’ dappertutto un passo indietro a livello di convivenza tra etnie e gruppi religiosi, per non parlare della conquista della tanto auspicata democrazia”. Patriarca, che cosa si può fare nel caso siriano? “Bisogna ad ogni costo porre fine al conflitto armato. Noi abbiamo sempre voluto una soluzione attraverso il dialogo”. Sappiamo che i ribelli, infiltrati da migliaia di militanti della galassia di Al Quaeda, sono aiutati finanziariamente soprattutto da Arabia Saudita e Quatar, mentre Turchia, Stati Uniti e altri li agevolano tecnicamente, in modi diversi. Sarebbe auspicabile ora un intervento armato massiccio dall’esterno? “Ogni intervento armato è sempre più malefico che benefico; anche in questo caso accrescerebbe i danni per persone e cose, aumenterebbe l’odio e le divisioni, rallenterebbe ancora di più la ricerca della pace. La Comunità internazionale e gli uomini di buona volontà hanno il dovere di intervenire incisivamente a livello politico e sociale.”

Un ulteriore aggravarsi dell’incendio siriano avrebbe conseguenze pesanti in primo luogo sul delicato equilibrio interno del Libano, un tempo detto “la Svizzera del Medio Oriente”… “Il Libano, legato organicamente al mondo medio-orientale, è influenzato da quello che vi accade. I libanesi poi si lasciano condizionare dalla contrapposta politica regionale delle due correnti musulmane principali, sunnita e sciita.” Si sa che la divisione si riflette anche sui cristiani… “Non è facile ricostruire l’unità dei libanesi. Non tutti, specie i musulmani, manifestano lealtà verso la patria, considerando prioritario l’interesse della propria comunità di appartenenza religiosa. Perciò la vita politica ed economica libanese è quasi paralizzata. Quanto a noi, non cessiamo di agire con tutti i mezzi per la ricostituzione dell’unità nazionale, garanzia di sopravvivenza per lo Stato libanese”. In tal senso il patriarca, poco dopo essere stato eletto nel marzo del 2011, ha promosso diversi incontri di riappacificazione tra i capi delle fazioni cristiane e di dialogo interreligioso tra i capi religiosi cristiani e musulmani di ogni obbedienza. Particolarmente importante il vertice interreligioso in preparazione a livello medio-orientale.