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La rubrica Antologia prosegue la sua esplorazione letteraria attorno alla Svizzera e ad alcuni dei  suoi autori, scopo di queste brevi letture è proporre un esempio di come la Svizzera è stata conosciuta e considerata e di come i suoi letterati si sono confrontati con il resto del mondo o hanno rappresentato il proprio paese.

Proseguiamo quindi alla scoperta di le pagine di un libro del medico e botanico Antonio Caccia, L’Impero Celeste, edito a Milano nel 1858. Caccia (Morcote, TI,  22 gennaio 1806 – Como, Italia, 27 agosto 1875) compì i suoi primi studi in Italia, a Como e Roma, poi si trasferì in Baviera, a Würzburg, dove si laureò, in medicina, successivamente si laureò in botanica e medicina legale all’università di Cambridge. Ultimati gli studi, compì una serie di viaggi: in Grecia, in Russia (1835) dove si fermò per tre anni a Mosca esercitando come medico, a Costantinopoli, in Crimea, in Siberia e in alcune province dell’Impero cinese, in America.

Frutto di questi viaggi furono una serie di libri tra i quali ha catturato la nostra attenzione, L’Impero Celeste che, scritto sotto forma di epistolario tra un cinese ed un europeo, illustra costumi e storia della Cina, paese che anche oggi affascina e incuriosisce per la sua complessità

L’Impero Celeste

Pechino

Vi scrivo dalla metropoli celeste dove mi ritrovo fra il dolce consorzio di letterati ed amici. Pechino è città oltremodo singolare. Non somiglia alle metropoli dell’America e d’Europa. Londra, Parigi, Nuova York, sono meraviglie moderne che in verun modo si possono paragonare all’antichissima Pih-kin, la quale nel suo complesso vi offre il più bizzarro panorama del mondo. Essa sorge e si dilata in varie forme nel mezzo di vasta e sabbiosa pianura che declina insensibilmente da levante verso mezzodì.

Da settentrione e da ponente l’occhio scorge, a breve distanza de’ bastioni della città, delle belle e pittoresche colline e più lungi, le montagne che separano la provincia di Pe-sci-li dalla Manciuria. Veduto da questi monti, Pechino si presenta come se fosse disseminato entro d’immenso parco cinto da vigorose selve, tra le quali spiccano i villaggi, i templi, i cimiteri che d’ogni lato circondano la vasta e popolosa città e gli estesi sobborghi.

Tra le molte correnti che scendono dalle vicine montagne è notevole il Pei-ho, fiume che scorre a 20 chilometri dalla città e si getta nel mare a Tien-Tsin che è il porto da cui Pechino tira le sue provvigioni. La grande muraglia si trova a 90 chilometri e, dalla capitale al golfo di Pe-sci-li s’hanno 170 chilometri. Il piccolo fiume Tang-Huy attraversa la città e ne alimenta i diversi canali. Pechino, in cinese Pih-kin, cioè la capitale del Nord, è una delle più antiche città della Cina. La sua storia è travolta nelle tenebre, subì molte vicende, e dopo di Yung-lo, terzo imperatore della famiglia dei Ming, continua ancora ad essere la sede del governo imperiale. E’ divisa in due parti, chiamata l’una Nui-Ching, ossia città interna a, a settentrione, l’altra Nac-Ching, città esterna, a mezzodì.

Tutta l’intera Pechino ha una circonferenza di 45 chilometri ed è cinta da muri e da torri, il che dà alla metropoli un aspetto grave ed imponente degno della residenza del Figlio del Cielo. Ma, come vi dirò in appresso, l’interno non corrisponde al di fuora. Non vi potrei dire esattamente a quanto sommi la stabile popolazione di Pechino, perché se gli uni le danno due milioni, gli altri soltanto un milione. In ogni modo si può asserire che gli abitanti oltrepassano un milione e mezzo.

Le vie principali sono larghe e a rettifilo ma nessuna è selciata. Le case non meritano d’essere descritte. Sono tutta sì meschine e dalla prima all’ultima tanto eguali, che sembrano d’un sol getto. In Pechino, tranne i palazzi imperiali, voi non trovate nulla di quei superbi monumenti e di quegli splendidi edifizi che tanto abbelliscono e rendono meravigliose le città d’Europa.

Le case, i templi, le botteghe sorgono le une accanto alle altre nel modo più confuso, e, dirò meglio, più stranamente pittoresco.

La parte settentrionale di Pechino comprende tre quartieri, ciascuno separato a mo’ di fortezza. Il più vasto e bello chiamasi la città proibita celeste, ossi la residenza del Figlio del Cielo. Quivi sorge e per ben tre chilometri si dilata il palazzo imperiale a guisa di un parallelogramma oblungo cinto all’intorno da un muro alto trenta e largo venticinque piedi alla base e dodici alla cima.

Questo muro è circondato da un gran fosso ed è coperto da tegole lucide come porcellana e di colore giallo lucente: ciò che ai raggi del sole produce l’effetto d’un tetto indorato.

Ogni facciata del muro ha una porta con tre archi e una torre, e una torre s’innalza pure ai quattro angoli del muro. Nell’interno di questo sacro e inviolabile recinto sorgono vari ordini d’alloggiamenti tutti ricchi e splendidi. Le terrazze sono coperte di larghi mattoni e le vie che menano ai diversi palazzi sono lastricate di pietre grigie e bianche.

Il palazzo ha tre scompartimenti, quello di levante, quello di mezzo e quello di ponente. Nel centro trovansi gli alloggiamenti imperiali ripartiti in diversi palazzi di cui ognuno ha il proprio nome e destinazione: io vi parlerò soltanto de’ più magnifici.

fine prima parte


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