La rubrica Antologia prosegue la sua esplorazione letteraria attorno alla Svizzera e ad alcuni dei suoi autori. In occasione dell’inaugurazione del Viaggio tra i Cantoni promosso dal Circolo Svizzero di Roma, abbiamo scelto le pagine del diario di Jacques Cambry che raccontano della sua visita nel Canton Svitto, prima tappa del nostro viaggio che toccherà, nel tempo, tutti i Cantoni della Confederazione. In queste pagine, quindi, percorriamo alcuni passaggi del libro di “Voyage pittoresque en Suisse et en Italie” di Jacques Cambry (2 ottobre 1749, Lorient, Francia – 30 dicembre 1807, Parigi) pubblicato a Parigi nel 1801.
Cambry è stato scrittore, storico e archeologo dilettante, appassionato della cultura gallica fu il fondatore dell’Accademia celtica. Impregnato di una cultura classica che spaziava dalle scienze, alle lettere e all’arte fu un attento conoscitore della pittura europea e osservatore scrupoloso e curioso della società con interessi che spaziavano dal commercio all’agricoltura ed all’industria, dalla storia ad ogni aspetto della cultura. Alla fine del ‘700 intraprese un viaggio in Svizzera ed in Italia; accompagnandolo nella sua avventura visiteremo con lui le montagne e le città svizzere.
Voyage pittoresque en Suisse et en Italie – Canton Svitto – seconda parte
La chiesa di Gersaw è ricoperta di dorature; l’avarizia dell’uomo moderno si vede nei templi. È l’oro che ama, è l’oro che offre a Dio; vicino al Peneo, nelle valli di Tempe, dove i pastori vivevano felici e incoronati di fiori, sull’altare di Apollo, Venere o Giove si vedevano solo allori, mirti e rose.
Ci siamo inchinati rispettosamente davanti al sovrano della regione che tornò ad arare il suo campo, cardare la sua seta, pagare i suoi lavoratori. Riprendemmo il nostro viaggio.
Ai piedi del monte Rigi, ai confini delle regione di Gersaw, si erge un tumulo coperto di abeti, la cappella che essi ombreggiano è famosa per una tragica avventura, per uno di quei racconti un tempo immaginati per colpire le menti della gente semplice e per trattenere con la paura, in assenza di leggi, istruzione e moralità, tutti coloro la cui inclinazione spingeva al crimine. Questa cappella si chiama Kindlein-Mord (Assassinio del fanciullo). Un giorno di trecento anni fa, un menestrello itinerante che vagava di villaggio in villaggio, stava mangiando del pane su una roccia e rifiutò di darne un pezzo alla figlia che lo chiedeva e sedendosi disse: “Niente di più duro di questa roccia”. “Si” disse la figlia. “Ebbene cosa c’è?”, “Il cuore di un padre”. Questo barbaro, irritato, le ruppe la testa e la gettò nel lago. Qualche tempo dopo (era ubriaco) un uomo gli disse: “Non importa cosa fai, prima o poi il crimine porta la punizione. Niente può rimanere nascosto alla verità”. Il menestrello gridò:”Niente di più falso, ho ucciso mia figlia e sto benissimo”. Fu preso, giudicato, spezzato.
Quanto amerei queste storie di balia se queste innocenti menzogne non predisponessero la mente all’errore, non la preparassero a quelle fantasticherie fatali che sono la sventura degli imperi, non dessero origine a quei sistemi religiosi che conducono alla schiavitù e non producessero alcun effetto se non sulle menti delle persone deboli. I deboli non hanno l’energia che li spinge a commettere grandi crimini, l’uomo forte non può essere fermato da un sogno ma tutti possono essere sviati dalle storie, diventare codardi, creduloni e, infine, prede di ciarlatani e superstizioni.
In fondo al terzo bacino del lago di Lucerna vedevamo le alte vette di Mittenen, l’alta cima di Hackemberg, chalet, prati e la città di Schwitz adagiata in un anfiteatro verde. Salutai questa terra di libertà e i cantoni di Underwald e Uri, di cui scoprii le montagne. Questa parte del lago è di una nobile bellezza, vasta e severa: non si è ancora persi di vita il Rigiberg e il Pilatus.
Le rocce sulla riva sono dedicate a tutti i santi del martirologio, alla Vergine, a Gesù bambino, piccole edicole annunciano la pietà, la credulità di tutti i cantoni cattolici. Presto si incontrano monumenti più rispettabili; è la pianura triangolare dove tre Svizzeri giurarono di strappare la loro patria al giogo degli austriaci, è la riva dove Guglielmo Tell balzò dalla barca del governatore Gesler, la affidò, con la sua ritirata, all’ignoranza dei suoi marinai, alla furia della tempesta e fuggì, deciso a liberare la terra da un vile tiranno che la stava profanando. Ne fui commosso ma lo spirito critico presto raffreddò il mio animo: l’avventura di Guglielmo Tell non era per che un racconto simile a quello di Clelia, degli Orazi, di Scevola, a quelle mille fantasticherie con cui la Grecia bugiarda e tutti i popoli delle terre del mondo dovettero colmare il vuoto della storia dei primi tempi. Condividevo, tuttavia, il sentimento dei nostri buoni svizzeri verso l’altare della loro libertà, consacrato da trecento anni di benedizioni e doni.
Una piccola cappella, coperta da un semplice tetto e dominata da un piccolo campanile, sorge sulla roccia nel luogo in cui, si dice, Guglielmo Tell saltò. La facciata è formata da due grandi arcate, in fonda alle quali si possono vedere alcuni affreschi di gusto barbarico, masse di blu, giallo e rosso: i tre liberatori della Svizzera sono dipinti nei pannelli della facciata. La triste verità ha nociuto all’effetto che questo monumento avrebbe dovuto produrre su di me, l’illusione mi avrebbe reso più felice, ma nella storia essa è insopportabile, mi piace solo nei romanzi e tra i poeti.
La descrizione del Lago di Lucerna, la storia delle sue piante, i suoi aspetti e i vari popoli che lo abitano, costituirebbero un volume infinitamente interessante, ma per comporlo bisognerebbe trascorrere un’estate sulle sue rive. Il solo monte Rigi richiederebbe grandi ricerche, si dice che sia formato da una prodigiosa massa di marmo arrotondato e polito dalle acque, depositato ad altezze prodigiose, e la cui storia ci è del tutto sconosciuta. A quale antichità ci riporta la formazione di questa enorme montagna!.. A volte mi pento di aver viaggiato superficialmente, di essere scivolato troppo leggermente sugli oggetti che intravedo: voglio un giorno scrivere volumi su uno spazio di poche leghe quadrate, proprio come un benedettino trovò il modo di scrivere una storia universale parlando della sua abbazia.
Il cantone di Schwitz, ad esempio, mi porterebbe necessariamente in Svezia: gli svizzeri moderni sono nativi di quel paese, secondo le cronache di Hasli. Che vasto campo per la mia ricerca! I costumi degli svedesi, l’epoca di questa migrazione, come erano nell’antichità, la loro influenza sugli abitanti della Biarmia, della Scrickfinia, della Botnia, della Norvegia. Quali interessanti estratti, parodiati e abbelliti, potrei citare Olaus Magnus, Saxo Grammaticus, e dell’Edda . La Biarmia mi fornirebbe dettagli sui satiri e gli incantatori che Horetus vi trovò, custodi di immense ricchezze che riportò indietro nella sua patria; e qualche nota sul potente Memmengus che sapeva, come tutti i suoi sudditi, comandare le tempeste, regolare gli elementi, affascinare lo sguardo e legare il laccio; muoveva la luna, squarciava le volte dell’inferno con il semplice canto dei suoi versi: si vedevano gli Scrickfiniani armati di palle di neve assediare guerrieri difesi da mura e castelli di ghiaccio, guidati da stendardi neri in campi di abbagliante biancore.
Descriverei le notti della Norvegia, quelle rive irte di forme gigantesche che l’immaginazione dei popoli del Nord ha trasformato in semidei, e i viaggi sui ghiacci, ecc., e i guerrieri di bronzo che soffiano fuoco, ecc., ecc. Rudbekus sarebbe finalmente la mia guida e l’universo si popolerebbe di svedesi. Da ciò concludo che, trovando Schwitz sotto la mia penna, mi sarebbe facile scrivere una voluminosa storia universale come quella dell’abbazia di Einsidlen, di Saint-Denis o di Citeaux. Ma lasciamo da parte questi progetti ambiziosi e concludiamo il nostro viaggio.
Wittenstein catturò la mia attenzione: è una roccia, una colonna che si erge perpendicolarmente per quasi cento piedi di altezza. Gli strati paralleli all’orizzonte, corrispondenti agli strati della montagna vicina, dimostrano che le sue fondamenta non furono turbate da alcun terremoto, che nessuna scossa ne determinò il distacco. Quanto tempo ci è voluto perché il gioco dell’acqua dissolvesse le terre che la univano al continente. A cinquecento passi da questa roccia si trova la pianura del giuramento di cui ho parlato; si dice che tre fontane, ancora visibili, sgorgassero dalla roccia nel momento in cui i tre coraggiosi giurarono di liberare la Svizzera.
Il quarto bacino, comunemente chiamato Lago di Uri, ha un aspetto aspro e selvaggio; le montagne sembrano lì più alte, perché partono dal livello delle acque, si distendono a perdita d’occhio; masse di nuvole nere si depositano sulle loro cime; un’oscurità monacciosa ricopre i campi di ghiaccio che il sole cessa di splendere: impressioni di terrore e di malinconia succedono alle dolci sensazioni, alle idee nobili e sublimi prodotte di volta in volta da tanti aspetti diversi, da tutti i giochi di luce, di acque e di rocce, di foreste, che si offrivano ai nostri occhi durante questo delizioso viaggio.
Trad. MdP
