Condividi su:

Non mi ero programmata niente, non avevo guardato molte foto sulla cittadina in cui andavo, Preševo, non mi ero interessata della situazione attuale, non avevo cercato feedback da qualcuno, senza presupposti e pregiudizi, andavo per scoprire. L’unica cosa che sapevo era che Preševo si trova sul confine tra la Macedonia e il Kosovo, che nella cittadina si trova il campo profughi più a sud della Serbia e che avrei fatto un volontariato di un mese, tra novembre e dicembre 2016, per Borderfree.

Vanja Crnojevic è la fondatrice di Borderfree, un’associazione zurighese nata nell’autunno del 2015 quando tutte le frontiere nei Balcani erano aperte e le persone che scappavano dalle loro guerre nel Medioriente si muovevano con fatica tra trafficanti di uomini, trafficanti di organi, freddo, bambini piccoli e pochissimi soldi. Borderfree è concentrata sulla rotta balcanica e ha lavorato in Grecia e Serbia. Si occupa dei diritti umani: nutrimento, vestiario, educazione, salute, parità e giustizia. Il primo giorno sono stata introdotta da Vanja nel campo che è all’interno di una delle 7 ex fabbriche di tabacco che erano presenti a Preševo, ristrutturata per accogliere nelle grandi stanze circa 60 persone alla volta. Ma il campo è praticamente una prigione. I rifugiati hanno il diritto di entrare ma non quello di uscire. L’unica opportunità è quella di far uscire un rappresentante della famiglia per massimo 3 ore, una volta al mese. Ci sono circa 300 persone all’interno e le origini di queste persone sono diverse. Parlano cinque lingue differenti, farsi, dari, pastho, arabo e curdo e arrivano da quattro culture diverse, arabica, curda, yezida e persiana. Ci sono afghani, iraniani, iracheni e siriani. Non era facile la convivenza tra tutti, ma Borderfree ha cercato di riempire le giornate con diversi progetti. Io sono stata la prima volontaria a iniziare corsi di lingua di inglese e tedesco per donne e uomini. Sì, donne e uomini difficilmente vengono insieme alle lezioni, soprattutto se le donne e gli uomini appartengono a diverse famiglie. Perciò per coprire tutte le richieste e per dare pari opportunità a tutti, ho deciso di fare classi per uomini e classi per donne. I bambini erano sempre i benvenuti, a patto che stessero bravi e seguissero la lezione. Man mano che passavano i giorni, iniziavano a nascere rapporti di fiducia. Il fatto che fossi una giovane donna è stato molto apprezzato dalle donne, ma gli uomini hanno avuto qualche difficoltà in più. Alcuni non osavano aprirsi a me, altri cercavano di conquistarmi per cercare una via di fuga “amorosa”. Con i ragazzi della mia età, quelli che parlavano meglio inglese, sono riuscita a costruire bellissimi rapporti di amicizia.

Insomma, questa esperienza mi ha cambiata nel profondo. Ho sensibilizzato il mio senso del rispetto, ho arricchito le mie conoscenze culturali e mi sono rafforzata nel mio essere una giovane donna indipendente. Ho imparato a vivere e ascoltare cose terribili, per me disumane, assicurandomi che quello è il loro passato e non il loro futuro. Ho ampliato e cambiato il mio spettro dei valori, ho un tetto, un letto, da mangiare e i termosifoni. Ho affrontato domande sul senso della vita e ho lodato la mia fortuna di essere “europea”.

Cecilia Döring
unionegiovanisvizzeri@gmail.com