La rubrica Antologia propone una piccola esplorazione letteraria della Svizzera per conoscere la sua produzione grazie ad alcuni dei suoi autori che di alcuni testi – non necessariamente di autori elvetici – che parlano della Confederazione. Lo scopo di queste brevi incursioni è di proporre un esempio di come la Svizzera è stata conosciuta e considerata o di come i suoi letterati si sono confrontati con il resto del mondo o l’hanno rappresentata.
In questa occasione andremo a curiosare tra le pagine di un libro del medico e botanico Antonio Caccia, L’Impero Celeste, edito a Milano nel 1858.
Caccia, nato a Morcote, Canton Ticino, da una agiata famiglia borghese il 22 gennaio 1806, compì i suoi primi studi in Italia, a Como e Roma, poi si trasferì in Baviera, a Würzburg, dove si laureò, in medicina. Si laureò poi in botanica e medicina legale all’università di Cambridge.
Nel 1831, Ultimati gli studi, compì una serie di viaggi: in Grecia; in Russia (1835), dove si fermò per tre anni a Mosca esercitando come medico, a Costantinopoli, in Crimea; in Siberia e in alcune province dell’Impero cinese, in America.
Frutto di questi viaggi furono una serie di libri tra i quali, in particolare, L’Impero Celeste che, scritto sotto forma di epistolario tra un cinese ed un europeo, illustra costumi e storia della Cina, paese che anche oggi affascina e incuriosisce. Terminati i suoi viaggi visse a Miralago presso Morcote e in Italia. Morì a Como il 27 agosto 1875.
L’Impero Celeste
Lettera 1
Ciung-Cue (Regno del Mezzo) l’anno 1856 dell’Era Cristiana
Chiarissimo amico
La Cina è il paese de’ fenomeni che colpiscono la mente del naturalista e dello storico. Dopo quattromila cinquecent’anni di vita storica e dopo avere sfidato le più grandi rivoluzioni del globo, si presenta ancora oggigiorno non solo intatta, ma oltremodo vasta e popolosa di oltre trecento cinquanta milioni d’abitanti.
La natura confinando la Cina fra mari tempestosi e deserti spogli di vegetazione e fra catene d’altissimi monti, sembra averla destinata a sudditaria e perpetua sede dell’ingegno, dell’industria e della civiltà. Infatti quale terra più fortunata, quale società più illustre? Ma lasciamo andare tali meraviglie e veniamo ai fatti onde voi possiate, in questi giorni di grandi speranze e timori, conoscere a fondo la Cina ed i Cinesi e giudicarne rettamente.
L’Impero Celeste è formato dalla Cina propriamente detta, dai paesi vassalli de’ Mongoli, dei Tibetani e Turchestani e della Mansciuria d’onde è provenuta la dinastia tartara, la quale da dugento e più anni impera sui vinti cinesi.
Sopra un’area di quattro milioni di miglia quadrate, l’Impero Celeste abbraccia tutte le influenze solari delle diverse latitudini e partecipa delle produzioni di tutti i climi. Innumerevoli fiumi, che per cinque pendii scorrono ai mari, irrigano copiosamente i vasti e svariati terreni. Il paese si presenta ora piano, ora inclinato ed ora erto e montuoso. Sei mila celebri montagne ricche di ferro, di rame, di zinco, di stano, di piombo e d’oro e d’argento e d’altri metalli formano la maestosa catena dell’Impero Celeste. Di questi immensi baluardi della natura cinese più di cinquanta sono coperti di perpetue nevi.
La Cina propriamente detta, e che intendo particolarmente descrivervi, è il nucleo dell’impero. Si divide in dieciotto provincie, le quali suddividonsi in dipartimenti e questi in distretti. Nel complesso del suo vasto territorio, la Cina offre allo sguardo tre grandi e differenti regioni: l’Alpina, la Media e la Bassa.
La regione alpina comprende il vasto e montano paese che dalla Mongolia corre verso occidente ed è chiuso per ben seicento leghe dalla gran muraglia. In questa contrada, che somiglia molto all’Europa, ebbe principio e glorioso sviluppo la nazione Cinese. I barbari di settentrione, secondati dalla discordia, dalla perfidia e dalla malvagità de’ tempi, invasero e soggiogarono la Cina, dopo aver vinti sul campo alpino i pochi e fedeli difensori della patria.
Da qui i nostri Tartari col loro poco gradito impero.
La regione Media o centrale racchiude il corso inferiore de’ fiumi più grandi della Cina. Questo magnifico paese, che si può chiamare la Mesopotamia Cinese, sarebbe il più fortunato di tutti se non andasse soggetto a rovinose innondazione che accadono quasi ogni anno per la troppa massa delle acque che scorrono giù dalla regione Alpina.
La regione Bassa o meridionale partecipa della natura delle due precedenti ed è il vero giardino dell’Impero Celeste. – Vi si potrebbe vivere beati come in un paradiso terrestre se la guerra civile, la violenza, la corruzione, la mala fede, colla peste dell’oppio e con tant’altri malanni moderni non vi alternassero con orrende e luttuose stragi la loro influenza. Noi Cinesi, bramosi di pace e di giustizia, non possiamo sperare né l’una né l’altra da un secolo corrotto dal lusso e dalla miseria, tradito e traditore ad un tempo. – Ne’ tempi di mezzo, vo’ dire duemila anni fa, la Cina era felice e gloriosa perché i suoi governatori sapevano imporre tema e rispetto ai Barbari non colla pompa o con l’oro ma colla virtù dell’umanità , colla santità delle leggi – col valore cittadino -. Oggigiorno illudendosi gli uni, rovinansi gli altri; sicché tutti corrono verso quella corrente che sbocca nel tempestoso mare dell’instabilità umana!
La Cina propriamente detta è uno dei paesi meglio irrigati del mondo. I suoi fiumi possono paragonarsi alle maggiori correnti dell’Asia e dell’America. I nostri geografi la fanno ricca di cinquemila fiumi tra piccoli e grandi.
Tra’ fiumi più distinti è celebratissimo lo Yang-Tsi-Kiang, vale a dire, il Figlio dell’Oceano. E’ desso il più gran corrente dell’impero; sorge nei monti Tibetani, nel corso assorbe molti affluenti, bagna e feconda e minaccia, ad un tempo, l’immenso tratto di paese per dove, maestoso e gonfio, si volge al mare. Voi, caro amico, non potete farsi un’idea dell’utilità che arreca ai cinesi il Figlio dell’Oceano. Basta dire che i nostri naturalisti. Poeti belli e buoni, lo chiamano de’ fiumi il re celeste. Il fatto sta che Yang-Tsi è l’’arteria principale della Cina e come tale è di continuo valicato da migliaja di barche cariche d’ogni sorta di mercanzie.
Dopo il Figlio dell’Oceano siegue per copia d’acqua ed importanza commerciale il Yoang-ho, ossia Fiume Giallo, così detto dal colore dorato che il limo comunica alle sue acqua. Nasce nei monti della Mongolia; attraversa, ingrossandosi di altre correnti, diverse provincie e sbocca nel mar Giallo. Fiume di prim’ordine è anche il Tigre che scorre per i paesi ubertosi e felici del Kiang-Tsi e nel Kuang-Tung dove si congiunge col Si-Kiang, o fiume del Norte, col quale forma il Tuc-Kiang, detto fiume di Cantone. I vantaggi che arreca all’industria ed al traffico sono incalcolabili e gli Europei, che arricchiscono con le derrate cinesi, sanno benissimo quanto valga il famoso Tuc-Kiang. Ma codesto magnifico fiume, vo’ dire il Tigre, è diventato dal 1841 in poi rinomatissimo a gran danno della nazione cinese. Tutti ricordano ancora con ribrezzo quella perfida, quella vituperevole aggressione che dai barbari dai capelli biondi ci venne fatta per la loro maledetta causa dell’oppio.
Io pressento che i barbari trafficatori irromperanno di bel nuovo entro l’onda del Tigre e, colla logica dei loro cannoni vorranno, com’è d’uso moderno, far guerra non di conquista, non di gloria ma di mercato, di guadagno. Infrattanto come ben disse un gran poeta europeo, si tenterà di magnetizzare l’insanissima ma sempre gelosa politica de’ nostri Tartari. Io non temo della fede e della carità e della speranza de’ Cinesi per la loro patria, ma tutti i buoni diffidono con ragione di coloro i quali, assai più che l’onore, la difesa e la salvezza della Cina, amano i sublimi posti, i gran titoli, le pompe, insomma l’oro con che oggidì più che mai, si van corrompendo gli ultimi aliti del patriotismo cinese.
Confucio, il divino nostro filosofo e legislatore, non indarno avea gridato contro gli amministratori de’ suoi tempi, dicendo: “Per la vostra insaziabile cupidigia, per la vostra libidine di governo, precipiterete o tosto o tardi la nazione in ultima ruina, sicché sarà fatta preda dei Barbari.”
fine prima parte