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di Roberto Iannuzzi.
Tra i numerosi aspetti che accomunano Roma e Berna ve n’è forse uno non molto noto, in materia di politica e commercio con l’estero. Si tratta dell’approccio nei confronti dell’Iran. Ad avvicinare Svizzera e Italia vi è la comune convinzione che il nodo del nucleare iraniano possa essere sciolto pacificamente, per via negoziale. A ciò si aggiunge lo sguardo che entrambi i paesi hanno rivolto negli anni passati a Teheran in qualità di importante fornitore energetico, e l’interesse condiviso alle potenzialità del mercato iraniano.
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A partire dalla fine del 2006, la diplomazia elvetica tentò di aprire un canale negoziale diretto fra gli Stati Uniti e l’Iran. In questo tentativo, Berna cercò di valersi del proprio ruolo di curatrice degli interessi americani a Teheran, del quale era stata investita da Washington dopo che gli USA avevano rotto i rapporti diplomatici con l’Iran a seguito della Rivoluzione islamica del 1979. Lo sforzo diplomatico svizzero suscitò tuttavia i risentimenti dell’EU-3, il gruppo europeo composto da Francia, Gran Bretagna e Germania che allora era incaricato del negoziato con Teheran. Tale sforzo, inoltre, si risolse in un nulla di fatto a causa delle forti tensioni che allora esistevano tra l’amministrazione Bush e il presidente iraniano Ahmadinejad.

Dal canto suo, l’Italia perse il treno negoziale con l’Iran nel lontano 2003, quando ebbero inizio le prime trattative con l’Occidente. Benché i governi italiani abbiano sempre creduto nell’approccio diplomatico con Teheran, all’epoca Roma decise di tenersi fuori, sebbene gli iraniani vedessero di buon occhio la presenza italiana nella squadra occidentale. Successivamente, l’Italia non riuscì a rientrare in gioco quando il gruppo negoziale dell’EU-3 venne allargato a Stati Uniti, Russia e Cina (divenendo così noto come P5+1, sigla che indica le cinque potenze del Consiglio di Sicurezza dell’ONU più la Germania).

Come detto, ad accomunare Roma e Berna vi è anche l’interesse energetico nei confronti dell’Iran. Nel 2008, l’elvetica EGL firmò un contratto della durata di 25 anni per la fornitura di gas iraniano. Il gas sarebbe dovuto giungere in Svizzera proprio attraverso l’Italia, tramite una pipeline proveniente da Grecia e Albania. L’obiettivo era quello di diversificare le fonti energetiche, in particolare riducendo la dipendenza europea dalla Russia. A risentirsi, questa volta, furono gli americani, secondo i quali l’accordo “violava lo spirito delle sanzioni”. Poi, nel 2012, l’embargo europeo e l’inasprimento delle sanzioni americane obbligarono la Svizzera a sospendere il contratto a tempo indeterminato. In quello stesso anno l’ENI dovette sostituire gli approvvigionamenti petroliferi dall’Iran, che garantivano il 13% del fabbisogno italiano, con forniture dall’Arabia Saudita e da altri paesi.

Alla fine del 2013, la firma dell’accordo ad interim sul nucleare fra Iran e P5+1 ha però aperto una stagione di ulteriore impegno negoziale e rinnovato interesse commerciale nei confronti di Teheran. Delegazioni diplomatiche e imprenditoriali da tutto il mondo – con italiani e svizzeri in prima fila – si sono affollate nella capitale iraniana in vista delle notevoli opportunità di investimento che un allentamento delle sanzioni potrebbe aprire.

Sia Berna che Roma sono state tradizionalmente fra i principali partner europei di Teheran. Secondo fonti iraniane, nei dieci mesi precedenti il 31 gennaio 2014 la Svizzera ha esportato in Iran beni per un valore pari a circa 1,9 miliardi di dollari. Ora che le sanzioni in alcuni settori (in particolare metalli preziosi, prodotti petrolchimici, ed assicurazioni sul trasporto marittimo) sono state alleggerite, questo valore è candidato ad aumentare. Dal canto suo, l’Italia aveva con l’Iran un interscambio complessivo che si aggirava intorno ai 7 miliardi di dollari l’anno, prima che entrassero in vigore le sanzioni. Dopo che l’embargo ha dimezzato le loro esportazioni, le imprese italiane contano di recuperare parte del terreno perduto grazie al parziale allentamento dell’impianto sanzionatorio procurato dall’accordo ad interim. Ciò vale in particolare per i settori petrolchimico, delle infrastrutture e agroalimentare.

Per molte imprese, riallacciare i contatti con Teheran significa posizionarsi strategicamente in un mercato che potrebbe rivelarsi estremamente importante qualora il raggiungimento di un accordo definitivo sul nucleare dovesse portare al definitivo smantellamento delle sanzioni. Ma il negoziato finale si preannuncia molto difficile, e ciò significa che la “finestra di opportunità” aperta dall’accordo ad interim entrato in vigore il 20 gennaio potrebbe improvvisamente chiudersi a luglio. Esiste però anche la possibilità che, pur in assenza di un’intesa definitiva, l’attuale accordo venga rinnovato per altri sei mesi. Sebbene l’allentamento delle sanzioni da esso previsto sia solo parziale, ciò permetterebbe ad alcuni imprenditori di concludere qualche buon affare a Teheran.

Roberto Iannuzzi, svizzero originario del Cantone di Zurigo, risiede a Roma ed è ricercatore presso l’Unimed (Unione delle Università del Mediterraneo). È autore del libro “Geopolitica del collasso. Iran, Siria e Medio Oriente nel contesto della crisi globale”, di recente pubblicazione.