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dall’introduzione del volume, La Comunità Svizzera a Trieste dal ’700 al ’900 edito da G. Cattaneo, A. M. Graf Reina, G. Reina.
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Determinante per la crescita e lo sviluppo della città fu la proclamazione del Porto Franco di Trieste emanata da Carlo VI nel 1719. Essa, infatti, rappresentò subito una grande opportunità di lavoro in una vasta area geografica a cavallo fra Oriente e Occidente. Giunsero così a Trieste varie comunità, (armena, ebraica, greca, serba, tedesca, svizzera), nella speranza di uscire da una precarietà economica e/o di sfruttare una grande occasione di sviluppo economico.
La migrazione degli svizzeri a Trieste può essere distinta in due tempi. La prima ebbe luogo nei primi decenni del ’700 e fu simile all’emigrazione degli europei verso le Americhe: svizzeri in cerca di fortuna provenienti dalle povere valli grigionesi e ticinesi, che solo in seguito sarebbero divenute rinomate mete turistiche.
In un secondo momento, compiendo una scelta oculata e lungimirante, arrivarono persone già affermate (commercianti, industriali, professionisti), richiamate soprattutto dalla nuova promettente realtà di Trieste, importante emporio e città in notevole crescita urbanistica e demografica: i 5.000 abitanti del 1700 divennero 70.000 nel 1850, 145.000 nel 1880, e 230.000 nel 1910.
Le maggiori prospettive di sviluppo per gli svizzeri della seconda migrazione si concretizzarono per gli industriali tessili, che in virtù del Porto Franco potevano rifornirsi direttamente della materia prima (cotone) evitando gravose intermediazioni, e per le maestranze e professionisti edili (capomastri, ingegneri e architetti).
Fra le diverse comunità arrivate a Trieste, quella degli svizzeri, spesso di giovanissima età, si distinse presto come colonia coesa, organizzata, straordinariamente operosa e qualificata in tutti i settori di attività. Non è azzardato affermare che essa ha costituito un’importante valenza socio-economica per lo sviluppo della città e dei suoi dintorni: dall’artigianato dolciario al commercio, all’industria, alla cultura e all’arte; non sono mancati neppure esempi di generosa munificenza e opere filantropiche.
Nel XIX secolo, grazie ai grandi spedizionieri, Trieste diventò il fulcro del commercio di transito dall’Europa verso le destinazioni del Levante e dell’Africa. Soprattutto per iniziativa degli svizzeri nacquero le prime compagnie d’assicurazione. In più occasioni i commercianti svizzeri invocarono adeguate vie di comunicazioni terrestri con l’ammonimento che, in mancanza di queste, il commercio di transito sarebbe rimasto una risorsa economica fragile.
La dimensione di questa nuova realtà di straordinaria vitalità fu tale da conferire a Trieste una connotazione di esemplare modernità in tutta Europa.
Ne fu testimonianza tangibile la visita di quattro giorni che Camillo Benso conte di Cavour fece a Trieste nel 1836. Abbandonata la carriera militare e i giovanili entusiasmi suscitati dalle idee liberali della “Giovane Italia”, Cavour decise di visitare alcune città d’Europa, attratto dalla rivoluzione industriale in atto in Gran Bretagna, Francia e Svizzera. Ufficialmente il viaggio nella Regione dell’Alto Adriatico, oggi Friuli Venezia Giulia, fu motivato dalla necessità di ammodernare l’azienda agricola di famiglia. In realtà Cavour desiderava conoscere direttamente la fiorente città giuliana. Il conte, di madre svizzera, la ginevrina Adele di Sellon, aveva avuto notizia dell’effervescente città di Trieste, dove operavano molte famiglie provenienti da Ginevra e dove il nuovo modello di economia liberale e di società moderna dal respiro internazionale, teorizzato nel salotto di M.me de Staël (figlia di Jacques Necker) al Castello di Coppet, era in pratica realtà operante.

L’attività dei singoli svizzeri a Trieste non fu caratterizzata soltanto dall’affermazione economica individuale, ma si distinse presto anche per l’organizzazione di un tessuto sociale sano e operoso. Venne istituita una scuola evangelica, dove l’insegnamento delle lingue e delle materie commerciali ebbe un ruolo importante, era aperte a tutta la cittadinanza e godette di un notevole successo. Al tempo stesso si provvide subito ad aiutare i connazionali più sfortunati con l’istituzione della Società Elvetica di Soccorso (poi di Beneficenza).
La comunità ha esplicato le sue molteplici attività in un largo raggio d’azione nel Friuli Venezia- Giulia e in Istria, dove sono emersi illustri personaggi nel settore culturale, artistico, imprenditoriale e commerciale. Inoltre la colonia svizzera si è distinta come anzidetto, per opere filantropiche di grande valenza umanitaria, tuttora esistenti e operanti.
C’è un’altra forte connotazione che caratterizza il cittadino svizzero: l’amor di patria. Il profondo sentimento connaturato all’uomo, che lo lega indissolubilmente alla terra in cui nasce e vive, spicca nel garibaldino Guido Fontana, nel mazziniano Antonio Caccia e nel dannunziano Ramiro Meng.

Pietro Covre inizia così il suo saggio “Svizzeri Grigioni a Trieste”: “Fra le varie comunità religiose (dette anche nazionali), che dopo la proclamazione del Porto franco si insediarono stabilmente a Trieste, quella svizzera, anche se non particolarmente numerosa, si può annoverare tra le più benemerite in quanto a laboriosità, rettitudine, onestà e senso di previdenza”.
Il prototipo di persona che si è delineata in questa numerosa comunità è dunque quella di un uomo libero, operoso, pragmatico, pacifico e solidale.