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La rubrica Antologia propone un viaggio letterario sulla Svizzera e sui suoi scrittori ed intellettuali, su come è stata conosciuta al di fuori dei suoi confini e come lei stessa ha visto il mondo che la circondava. La nostra esplorazione prosegue con il libro “Reisen in verscheidene Provinzen des Königreichs Neapel “ di Carl Ulysses von Salis Marschlins (1762 – 1818, Landquart, Canton Grigioni, Svizzera). Salis Marschlins fu un giurista, appassionato naturalista, botanico ed entomologo e autore di studi su agricoltura ed economia. Come era d’uso ai suoi tempi viaggiò in Italia, in quello che era il Regno di Napoli, dalla Puglia all’Abruzzo, descrivendo in modo diretto e netto i luoghi nelle loro caratteristiche geologiche ma anche interessandosi delle colture e produzioni praticate; descrive i centri abitati e le popolazioni che incontra sul suo cammino con le loro caratteristiche culturali, sociali ed economiche, dando uno spaccato nitido delle regioni che attraversa.
Proponiamo un passo del libro dall’edizione inglese del testo per scoprire alcune zone d’Italia viste con gli occhi di un viaggiatore attratto dalle particolarità della Penisola.

Taranto – seconda parte

La mattina seguente mi recai all’estremità del Capo San Vito, lì dove si domina la bellissima vista della città e del golfo e parte della Calabria in lontananza. Una torre di osservazione eretta lì a guardia dalle incursioni dei pirati, si presta molto meglio a far godere del bel panorama piuttosto che alla sua funzione originale.

Tutto questo tratto sassoso e lasciato a prateria, è ricoperto di cespugli di capperi e di asphodelus ramosus, di cui abbonda l’intera provincia.

Ritrovai anche una specie di tufo calcareo che, dove era stato scavato per prenderne materiale per l’edilizia, era pieno di ogni sorta di resti organici, alcuni pietrificati ed altri quasi inalterati. In numero maggiore si trovavano ostreidi, pectinidi, turbinidi  ma vi erano anche alcuni begli esempi di volutidi, coralliti, ammoniti, e trochiti, gli ultimi due in tale stato di conservazione da darmi l’illusione di essere appena usciti dal mare. Se si fosse trattato di soli fossili, la loro presenza si sarebbe spiegata con la vicinanza del mare, ma vi è anche una gran quantità di corpi interamente pietrificati e, un dotto signore di Taranto, mi assicurava che, mentre scavavano un pozzo nelle sue proprietà distanti dodici miglia dal mare, aveva trovato nella roccia calcarea un guscio d’ostrica fossilizzato, perfetto, alla profondità di 76 palmi. Un buon numero di fossili dello stesso tipo si sono trovati anche in una montagna argillosa di Piana di Calabria, scavata per dare sfogo ad un lago.

Nel pomeriggio passeggiavo abitualmente lungo la costa orientale del Mar Piccolo, il cui bellissimo bacino, come uno specchio, misura sedici miglia e mezzo di circonferenza e le cui rive sinuose e variamente coltivate con grano, vigneti, piantagioni di fichi e di alberi di aranci, presentavano in ogni momento un nuovo e interessante punto di vista.

Per godere meglio del panorama, generalmente, lasciavo la carrozza e vagavo lungo la spiaggia dove ad ogni passo un nuovo oggetto attirava la mia attenzione. Le onde di questo lago placido lasciano continuamente sulla sponda rarità naturali ed artistiche e qui arricchii la mia collezione delle più belle specie di conchiglie. Specialmente lungo il tratto che va tra la chiesa di santa Lucia e la città, dove si crede che si snodasse la strada dorata e inargentata dell’antica Tarentum, non è raro trovare rari pezzi di monete, di cammei, di intagli e oggetti d’oro e d’argento.

È dimostrato che scavando nelle vicinanza è facile trovare vari oggetti antichi ma non vi è una persona in tutta Taranto che sia stata spinta dall’amore dell’arte e della scienza, a richiedere al Governo una regolare licenza per fare degli scavi e delle ricerche serie; alle mie rimostranze ed alle mie domande in proposito mi è stato risposto con molta filosofia, che il successo era dubbio, mentre le spese erano certe.

In queste stesse vicinanze, oltre il convento Alcantarino, esiste una collina chiamata Monte Testaceo, che consiste per la maggior parte di resti di bivalvi e di mùrici. Si dice che la celebre tinta purpurea di Taranto fosse prodotta, nell’antichità, in questo luogo e che la piccola cisterna che si trova nelle vicinanze servisse a produrre il prezioso liquido.