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La rubrica Antologia prosegue la sua esplorazione letteraria attorno alla Svizzera e ad alcuni dei  suoi autori. In occasione del primo incontro del Viaggio tra i Cantoni promosso dal Circolo Svizzero di Roma, abbiamo scelto le pagine del diario di Jacques Cambry che raccontano della sua visita nel Canton Svitto, prima tappa del nostro viaggio che toccherà tutti i Cantoni della Confederazione. In queste pagine, quindi, percorriamo alcuni passaggi del libro di “Voyage pittoresque en Suisse et en Italie” di Jacques Cambry (2 ottobre 1749, Lorient, Francia – 30 dicembre 1807, Parigi) pubblicato a Parigi nel 1801.

Cambry è stato scrittore, storico e archeologo dilettante, appassionato della cultura gallica fu il fondatore dell’Accademia celtica. Impregnato di una cultura classica che spaziava dalle scienze, alle lettere e all’arte fu un attento conoscitore della pittura europea e osservatore scrupoloso e curioso della società con interessi che spaziavano dal commercio all’agricoltura ed all’industria, dalla storia ad ogni aspetto della cultura. Alla fine del ‘700 intraprese un viaggio in Svizzera ed in Italia, accompagnandolo nella sua avventura visiteremo con lui le montagne e le città svizzere.

Voyage pittoresque en Suisse et en Italie  – Canton Svitto

Ci siamo sbarazzati del cocchiere più brutale e testardo della Svizzera a Lucerna; abbiamo rispedito la nostra gente ed i nostri beni a Ginevra: un leggero portamantello era sufficiente per il viaggio nei piccoli cantoni che avevamo deciso di intraprendere. Una nuova carrozza era stata attaccata, eravamo pronti a partire per Zurigo ma una saggia riflessione della nostra guida cambiò i nostri piani. Il San Gottardo, a fine settembre, a volte è coperto di neve e per la strada che avevamo intenzione di fare sarebbe stato difficile tornare prima di un mese. Mettemmo ciascuno un paio di calze, una camicia e qualche fazzoletto in una specie di borsa di cui l’illustre François si prese cura. Eravamo sul lago alle cinque e mezza.

Dal centro del primo bacino che si divide a croce Lucerna, i suoi ponti, la sue torri ed i suoi merli, in mezzo ai prati ed ai boschi, si presentano con maestosità sullo sfondo più pittoresco.
Le alte montagne, i tappeti di verde, le rocce spezzate, battute dalle onde, sospese sull’abisso; delle ricche pianure che si innalzano in pendii sui fianchi delle montagne; delle cappelle i cui campanili si ergono e trafiggono le nuvole sulle cime più alte; villaggi in riva all’acqua, una moltitudine di chalet, boschi e foreste, il colore viola del Rigi, la forma piramidale del Burgenberg; delle enormi catene di montagne che si incrociano e scompaiono in lontananza fra le nuvole, sono gli oggetti del panorama infinitamente vario che di volta in volta appaiono, incantano l’occhio e scompaiono.

I dettagli di questo viaggio ammaliante sul Lago di Lucerna sono infinitamente interessanti: un volume non basterebbe a descriverli. Se seguissi il metodo dei viaggiatori che, non appena vedono il campanile di un villaggio, si dilungano con l’aiuto dei loro resoconti, ne fanno la storia, riportano gli epitaffi della cattedrale, i costumi, le usanze e la storia naturale del paese in cui si trovano, scriverei degli infolio. Adriano di Valois mi darebbe i nomi, i viaggi, le migrazioni e le conquiste degli Allobrogi, degli antichi Galli che attraversarono la Svizzera per diffondersi in Italia. Un estratto del Cluverius fornirebbe una brillante descrizione delle diverse Alpi e tutto ciò che è stato detto sul passaggio di Annibale attraverso queste regioni. Blaauw e Busching si avvicinerebbero ai tempi moderni ed i mille e un viaggio pubblicati dopo le disgrazie di M de la B***, C***, il M., S M de la L***, B***, completerebbero quest’opera tediosa. Non ho mai pensato come il poeta della Métromanie; non voglio derubare i nostri nipoti,

E prosciugando la fonte da cui attinge un meraviglioso delirio, alla posterità non lascia nulla da dire.

Arrivammo, dopo aver costeggiato due scogli che si ergono in mezzo alle acque, all’isola della Libertà: è lì che il celebre abate Raynal, tra le montagne più imponenti ed i luoghi consacrati dall’intrepidezza di Guglielmo Tell, osò dedicare alla Svizzera, liberata dal giogo degli austriaci, il più misero monumento, una piccola piramide, un punto che si perde nell’immensità.

L’intero territorio della repubblica di Gersau si abbraccia in un colpo d’occhio, si dispiega, su un’area di una lega quadrata sul fianco del Monte Rigi: milleduecento abitanti ne costituiscono la popolazione, il governo è democratico, un Landamano è responsabile del potere esecutivo. Ero curioso di vedere questo sovrano, mi aspettavo di trovare un bravo contadino svizzero rinchiuso in una capanna di abete: mi sbagliavo. Il suo palazzo offre una facciata piuttosto graziosa: un marciapiede, una scalinata di fattura piuttosto delicata conducono al piano terra rialzato di otto piedi dal livello del suolo. Ha cantine illuminate da prese d’aria. La sua prima anticamera è ornata con carte geografiche. Si sale al primo piano tramite una scala in noce: ovunque regna un’estrema pulizia; gli appartamenti son vasti, decorati con specchi e dorature, persino i letti, come tra i grandi, sono separati da graziose balaustre. Il secondo piano è più elegante, ancora più raffinato: tamburelli, flauti, oboi sospesi in ghirlande di fiori graziosamente scolpiti, adornano la parte superiore delle porte; specchi, guéridon, stufe di terracotta, qualche tavolo di marmo, canapè ne costituiscono l’arredamento. Un borghese di Orléans, di Angers, un ricco mercante di Tours o di Mâcon sono alloggiati come il Landamano di Gersau, ma lì ci troviamo nel cuore di una città opulenta, mentre noi eravamo nella più piccola repubblica del mondo.

Il principe è un vegliardo di ottantadue anni, suo figlio esercita le funzioni attive dell’impero; la sua fortuna sembra piuttosto considerevole: nel suo paese è immensa, nei principii di una democrazia rigorosa potrebbe essere sospetta: un cittadino che nella sua manifattura impiega un terzo dei suoi compatrioti, quattrocento persone su milleduecento, è senza dubbio un essere pericoloso che la libertà deve temere.

Venti articoli formano il codice della repubblica. Il consiglio che giudica tutti i reati civili e penali, è composto da nove membri: il Landamano li presiede, il suo voto decide quando le opinioni sono equamente divise. I crimini sono rari in un paese di fratelli. Quattro manifatture per la seta e la coltivazione di splendidi campi li fanno vivere nell’abbondanza. Un giorno un criminale fu condannato a morte, il luogo dell’esecuzione è lontano dalla città, indicato da due forche, la barca che doveva trasportarlo, troppo carica di giudici e carnefici, non poteva accogliere il colpevole: gli fu ordinato di camminare lungo la riva fino al luogo della sua esecuzione, gli fu messa al collo una campana che doveva essere udita ininterrottamente per sbarcare ed inseguirlo se il suono sembrava affievolirsi. Si misero in cammino, lo sventurato avanzava lentamente, quando una capra soccorritrice, senza dubbio mandata da Diana, si trovò sui suoi passi, il condannato la afferrò, slegò la campana, la legò al collo dell’animale che fu disturbato dal rumore insolito: in un attimo il nostro uomo aveva varcato i confini e non aveva più nulla da temere dai suoi giudici. Arrivati al luogo dell’esecuzione, si dice, ma io non ci credo, che il consiglio avrebbe voluto uccidere la capra, complice, strega o forse diavolo, ma un malizioso sospettò lo scherzo appena giocato alla giustizia, lo svelò ai suoi colleghi e la capra fu risparmiata, messa fuori dal tribunale e dal processo.

Il figlio del Landamano ci parlava in italiano mescolando qualche frase in francese; i libri sacri, Rabner e qualche dizionario costituivano la sua biblioteca. E’ di statura media, ha un bel profilo, uno sguardo vivace, è più milanese che svizzero e non avrà mai l’aria grave e gentile, il tono patriarcale di suo padre: il suo viaggio in Italia lo ha forse rovinato. Indossa un abito alla francese, i suoi capelli sono arrotolati in boccoli, raccolti in una coda di cavallo sulle spalle, fa la riverenza, è cortese. Vorrei che uno svizzero fosse un po’ rude e che una medaglia conservi la sua epigrafe.

MdP