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La rubrica Antologia conduce un piccolo viaggio in parte della produzione letteraria elvetica. Obiettivo di queste brevi incursioni è di offrire un esempio di come la Svizzera è stata vista e conosciuta al di fuori dei suoi confini e di come i suoi autori si sono confrontati con il mondo o l’hanno rappresentata. In questa occasione avremo un assaggio della lunga novella “Romeo und Julia auf dem Dorfe” tratta dalla raccolta “Die Leute von Seldwyla” (1856), “La Gente di Seldwyla”, dello scrittore e poeta svizzero Gottfried Keller (Zurigo, 19 luglio 1819 – Zurigo, 15 luglio 1890).

Romeo e Giulietta di campagna – seconda parte

Gli anni passavano, i ragazzi crescevano e il campo senza padrone si assottigliava sempre di più. Ad ogni aratura perdeva un solco da una parte e uno dall’altra senza che nessuno dicesse una parola, senza che nessuno mostrasse di accorgersi di quanto accadeva.
Il mucchio di pietre era cresciuto fino a formare una cresta per tutta la lunghezza del campo e le erbacce erano così alte che i ragazzi non riuscivano a vedersi da un lato all’altro.
Ad ogni raccolto, quando tutti erano impegnati nei campi, i ragazzi coglievano l’occasione per arrampicarsi sulla cresta e scherzare.

Arrivò il giorno in cui il campo venne messo in vendita, l’asta si tenne sul posto dove, oltre Marti e Manz, si radunarono alcuni curiosi perché nessuno voleva comprare quel pezzo di terreno eccetto i due vicini. Manz e Marti erano i più abili contadini della zona e non avevano fatto nulla che anche gli altri avrebbero fatto se si fossero trovati nelle stesse circostanze. La maggior parte degli esseri umani sono disposti a commettere un’ingiustizia se ve n’è la possibilità, ma quando qualcuno compie l’abuso, tutti gli altri sono contenti di non esserne responsabili e guardano il colpevole con una certa indulgenza quasi fosse un capro espiatorio mandato dagli dei e sono invidiosi dei vantaggi che questo ne trae.

Marti e Manz erano, quindi, i soli a scontrarsi seriamente facendo offerte sempre più alte fino a quando, a furia di rialzi, Manz comperò il campo. Curiosi e commissione se ne andarono e i due contadini ripresero il loro lavoro, quando fu l’ora di rincasare Marti chiese: ”Unirai i due appezzamenti e li dividerai in due parti? Se li avessi presi io avrei fatto così!” “Si” rispose Manz “li unirò perché altrimenti sarebbe un campo troppo grande. Piuttosto, ho notato che ultimamente hai lavorato il campo che ora è mio, prendendone un bel triangolo. Capisco che tu l’abbia fatto pensando che un giorno l’avresti comperato ma siccome il campo adesso è mio, capirai che non posso tollerare quella curva e immagino non avrai niente in contrario se la raddrizzo di nuovo. Non vorremmo certo litigare per questo!”
“Non vedo perché litigare! Io dico che tu hai comperato il campo così com’è.” rispose freddamente Marti.
“Non esagerare”, disse Manz, “bisogna che il campo riprenda la sua forma, da sempre questi tre campi si stendono dritti come disegnati con la squadra e sarebbe un brutto scherzo da parte tua voler lasciare quella curva, saremo lo zimbello del paese se lasciassimo quel ghirigoro!”
Marti rise:” Da quando ti preoccupi delle dicerie della gente” disse, “la situazione si può aggiustare: se tu proprio non puoi sopportare quella curva, addrizzala, ma non dalla parte mia!”
“Non scherziamo” disse Manz “si raddrizzerà dalla tua parte, invece!”

Il giorno dopo Manz mandò dei lavoranti accompagnati da suo figlio Sali ad estirpare erbacce e sterpi per poter poi portare via i sassi. Il gruppetto si mise a lavorare con slancio, sradicando e abbattendo arbusti, erbe e piante, divertendosi in quel lavoro rozzo e disordinato. Dopo che le erbacce si furono seccate al sole ne fecero un gran mucchio e vi diedero fuoco facendo una gran baldoria cui si unì anche la piccola Veronica che si riavvicinò al suo antico compagno di giochi. Vennero anche altri ragazzi e nell’allegria generale Sali e Nichetta non perdevano occasione per stare vicini, felici, in quella giornata che pareva non dovesse finire mai.
Ma verso sera Manz arrivò per controllare il lavoro e malgrado lo trovasse finito, si arrabbiò di fronte a tanta spensieratezza e, imprecando, cacciò tutti in malo modo. Nello stesso momento apparve anche Marti nel suo campo, vista la figlia, la richiamò con un fischio che la fece scattare via impaurita e le appioppò due ceffoni appena lei si avvicinò.

Nei giorni successivi Manz mandò sul campo degli uomini robusti a completare il lavoro di pulizia raccattando tutti i sassi che i due contadini avevano ammassato negli anni e rovesciandoli, carriola dopo carriola, sul triangolo di campo lavorato da Marti.
Marti, che non si aspettava quella mossa, andò a chiamare il balio e fece mettere sotto sequestro i lembo di terra e da allora i due contadini si trascinarono in una lite che li avrebbe portati alla rovina.

I due, offesi nell’orgoglio, passarono gli anni successivi in una sorta di sfida a distanza in cui ognuno cercava di diventare più ricco dell’altro. Pur di superare l’avversario si facevano abbindolare da qualunque disonesto ciarlatano e si facevano trascinare in ogni sorta di imbroglio, passavano la metà del loro tempo in città nelle bettole che avevano eletto a quartier generale e lì buttavano soldi in sciocchezze e gozzoviglie. L’altra metà del tempo se ne stavano a casa a far nulla o sbrigavano le loro faccende in un modo così disordinato da far scappare i loro lavoranti più bravi e fidati. In meno di dieci anni si ritrovarono pieni di debiti e con un odio reciproco che aumentava sempre di più perché ciascuno vedeva nell’altro la causa della propria rovina.

Le loro mogli reagirono in modo diverso alla sciagura e alla povertà che si abbatteva sulle rispettive famiglie. La moglie di Marti, una donna gentile, non resse alla rovina e morì prima ancora che la figlia compisse quattordici anni; la moglie di Manz, si adattò ai cambiamenti che però tirarono fuori il lato peggiore del suo carattere così quelli che erano dei difetti divennero dei veri e propri vizi: divenne avida, pettegola, sfrontata e bugiarda.

Chi pativa di più erano i due ragazzi che non avevano serenità né speranze per il loro avvenire. Nichetta, ormai orfana della madre, viveva sotto la tirannide del padre. A sedici anni era una ragazza graziosa con i capelli scuri che le scendevano in boccoli sui vivi occhi neri e pronta al sorriso appena le cose andavano un poco meglio.

Sali che sembrava il più fortunato tra i due, non foss’altro perché era un giovanotto bello e robusto i cui carattere e presenza impedivano qualsiasi tipo di maltrattamenti, quasi non ricordava più i giorni in cui la vita della sua famiglia era stata normale, quando suo padre era un contadino laborioso e accorto. La madre, per avere un alleato e dare sfogo alle sue manie di grandezza, lo accontentava in tutto e lo vestiva elegantemente, Sali, però, non era contento della sua vita perché sentiva di non avere un obiettivo per il futuro; per quanto riguardava Marti sapeva che questi aveva fatto un torto a suo padre e che l’astio era reciproco per cui ignorava sia lui che sua figlia Nichetta.

Nichetta, invece, che soffriva di più per la sua misera vita, non si sentiva di avere inimicizie e pensava che Sali, così ben vestito e dall’aria felice, la disprezzasse e quindi lo evitava.

Manz fu il primo a dover abbandonare la casa, i campi se ne erano già andati, e – seguendo il consiglio di amici – a trasferirsi in città dove decise di aprire un’osteria. Quando la famiglia traslocò si vide subito quanto erano già impoveriti; la moglie, però, vestita con il suo abito migliore se ne andò distribuendo occhiate sprezzanti ai contadini che invece li guardavano impietositi.

La donna immaginava che in città sarebbe stata padrona di una bella locanda e rimase arrabbiata e delusa quando vide che l’osteria che era stata affittata al marito era una taverna malandata in una stradetta fuori mano. I seldwylesi oltre ad affittare a Manz quella bettola sporca e umida, gli vendettero anche un paio di botti di vino, una dozzina di brocche e di bicchieri e i tavoli scrostati che costituivano tutto l’arredo dell’osteria.

L’arrivo dei nuovi osti attrasse l’attenzione dei seldwylesi che si affacciarono alle finestre per guardare con ironia la carovana; Sali, che si vergognava della loro condizione, e il padre furono costretti a scaricare le loro povere cose e gli arredi malmessi.

Nelle prime settimane la novità attrasse clienti, la sera arrivava qualche tavolata di gente curiosa di vedere il nuovo oste che però era maldestro, triste e sgarbato e l’ostessa che, nel tentativo di essere divertente e irresistibile, si conciava in modo così ridicolo da essere oggetto di risa e di scherno.

Dopo poco però i clienti si stancarono dello spettacolo e se ne andarono da un’altra parte e nell’osteria capitava gente sempre più di rado cosicché la famiglia si trovò ben presto alla miseria.
Se capitava qualche cliente erano costretti ad andare a comperare il vino in un’altra bettola e non avevano più neanche pane e companatico.

Così per fame e per passare il tempo padre e figlio cominciarono ad andare a pesca lungo il fiume dove era consentito pescare liberamente e dove si ritrovavano tutti i poveri di Seldwyla che cercavano qualcosa da mettere sotto i denti.
Padre e figlio che conoscevano i luoghi dove il pesce era più buono e non c’era gente e così se ne andavano per ruscelli e torrentelli.

Anche Marti, che pur essendo rimasto nella sua casa in campagna se la cavava sempre peggio, invece di dedicarsi a quel poco di terra che gli era rimasto, aveva iniziato ad andare a pesca per intere giornate portando con sé la figlia Nichetta che lo seguiva con il secchio e gli arnesi da pesca. La casa rimaneva abbandonata, le faccende da fare, i campi incolti.
Una sera dal cielo coperto di nuvoloni, mentre camminava lungo un torrente profondo e impetuoso pieno di trote, vide il suo acerrimo nemico Manz che camminava sulla riva opposta. Appena lo vide, convinto che l’oste conducesse una vita prospera in città, sentì montare la rabbia e cominciò a gridargli ingiurie, l’altro rispose con lo stesso tono e entrambi, furibondi, cominciarono a camminare lungo il torrente tentando di attraversarlo.

Sali, mentre i due litigavano, vide Nichetta che se ne stava sull’altra sponda, col viso basso, impacciata e piena di vergogna e rimase a guardarla stupito e intenerito da quella figuretta goffa.

I ragazzi, distratti, non si accorsero che i loro genitori si erano azzittiti perché si affrettavano verso un ponticello lì vicino; appena abbero raggiunto il ponte, vacillante sotto il loro peso, presero a picchiarsi e iniziò a cadere la pioggia. I due vecchi, abbrancati l’uno all’altro tentavano di buttarsi in acqua a vicenda. Sali si lanciò ad aiutare suo padre e stavano per avere la meglio su Marti quando Nichetta si intromise per difenderlo, nel trambusto tutto il gruppo si trovò serrato, i due ragazzi che erano vicinissimi poterono finalmente vedersi in volto. I due giovani riuscirono e dividere i due vecchi, che si allontanarono imprecando, e a scambiarsi una rapida stretta di mani.

fine seconda parte