La rubrica Antologia propone un viaggio letterario sulla Svizzera e sui suoi scrittori ed intellettuali, su come è stata conosciuta al di fuori dei suoi confini e come lei stessa ha visto il mondo che la circondava. La nostra attenzione è stata catturata dal libro “Reisen in verscheidene Provinzen des Königreichs Neapel “ di Carl Ulysses von Salis Marschlins (1762 – 1818, Landquart, Canton Grigioni, Svizzera). Salis Marschlins fu un giurista ma anche un appassionato naturalista e attivo come botanico ed entomologo e autore di studi su agricoltura ed economia. Come era d’uso ai suoi tempi viaggiò in Italia, in quello che era il Regno di Napoli, dalla Puglia all’Abruzzo, descrivendo in modo diretto e netto i luoghi nelle loro caratteristiche geologiche ma anche sulle colture e le produzioni praticate, sui centri abitati e sulle popolazioni che incontra sul suo cammino con le loro caratteristiche culturali, sociali ed economiche, dando uno spaccato nitido delle regioni che attraversa.
Proponiamo un passo del libro dalla sua edizione inglese per scoprire alcune zone d’Italia viste con gli occhi di un viaggiatore attratto dalle particolarità della Penisola.
Da Molfetta a San Basilio e Taranto
Da questi siti così vivi d’impressioni pastorali ritornammo verso casa dove un altro interessante spettacolo ci aspettava e dove ci fu dato godere di una specie di esposizione Tartara. Ci vennero presentate tre mandrie differenti di cavalli, ciascuna divisa in due sezioni: la prima contenente i cavalli interi, l’altra i puledri. Esaminammo dapprima le giumente di razza inferiore, ovverosia lo scarto delle razze, tenute esclusivamente per la produzione di muli, e tre asini di imponente grandezza e di manto eccezionale, che il Duca tiene espressamente e che gli costano 300 ducati l’uno. Questi animali vengono custoditi continuamente in stalla, eccetto che nella stagione della monta.
Il prezzo corrente di un mulo dell’età di tre mesi è di 50 ducati ed una buona pariglia di quattro anni, di razza scelta, vale dai 300 ai 400 ducati.
Dalle giumente passammo ad esaminare i muli, poi le giumente di secondo ordine con i relativi puledri, ed infine le giumente scelte che sono di una bellezza sorprendente, grandi, e per lo più di un mantello o sauro scuro o sauro dorato. Il più fine conoscitore non troverebbe in esse altra pecca se non le orecchie un po’ troppo distanti fra di loro. I cavalli del Duca sono pregiatissimi specialmente per la loro forza, la loro gagliardia e la singolare bontà delle loro unghie, qualità queste da attribuirsi probabilmente alla natura forte e secca dei pascoli ed al lasciare gli animali continuamente all’aperto in ogni stagione, senza mai rinchiuderli nelle stalle.
I puledri tenuti per uso privato, vengono domati ai tre anni ed i cavalli che non servono per uso del Duca, vengono venduti verso i quattro anni o alla fiera di Gravina o a quella di Salerno, dove il prezzo corrente di una buona pariglia di cavalli di quattro anni senza nessun difetto, varia dai 150 ai 200 ducati. Sino a poco tempo addietro, nessun cavallo veniva castrato, servendo gli stalloni sia pel tiro, sia pel cavalcare e lasciando le giumente esclusivamente per le razze. Adesso però si usa altrimenti e la cavalleria sarà fornita, d’ora in poi, di giumente e di cavalli castrati.
Anticamente non c’era barone del Regno delle Due Sicilie, che non avesse una o più razze di cavalli ed i cavalli napoletani sono stati sempre e dappertutto tenuti in gran pregio per la loro resistenza e per le loro altre buone qualità, così come erano apprezzati negli antichi tempi.
La nobiltà romana sino a poco tempo addietro non usava altri cavalli da tiro per i suoi equipaggi se non quelli napoletani e questa esportazione è stata costantemente proficua e vantaggiosa insino a che ad un talentuoso ministro (il Marchese di Squillace, credo) è venuta l’idea di imporre sugli equini una tassa gravosa, perciò il prezzo dei cavalli ha subito tale rialzo che i forestieri hanno abbandonato il commercio e i signori romani, svegliati dal letargo, hanno allevato razze per conto proprio, importando stalloni rinomati e servendosi dei loro cavalli per uso proprio e del paese. I Napoletani, di conseguenza, rimasti con i loro cavalli invenduti, hanno visto le loro razze finire o degenerare, ed hanno dovuto dedicarsi all’allevamento dei muli per trovare qualche profitto. Nel frattempo le buone razze sono andate quasi perdute, ed il Re di Napoli, che avrebbe potuto avere la più bella cavalleria del mondo, sarà presto o tardi, obbligato ad importare cavalli a prezzi favolosi, se non si deciderà – come ne è stato ardentemente richiesto – ad abolire la costosissima tassa e ad incoraggiare l’allevamento delle razze abrogando la legge tirannica che autorizza gli ufficiali incaricati della rimonta della cavalleria, a scegliere nelle diverse fiere, cavalli di altre razze a seconda del loro talento, ad un prezzo fisso e inferiore.
Si spera adesso, dopo che è stata constatata decisamente la superiorità dei cavalli napoletani, che questo ramo del commercio ritorni nuovamente a fiorire. Avendo l’ultimo ordinamento della cavalleria dimostrato come questi cavalli siano più che gli altri forti, attivi, docili, vivaci e resistenti, un miglior indirizzo nell’allevamento delle razze merita l’attenzione dei ministri, che pare si sieno finalmente decisi ad ascoltare i buoni consigli, e metterli in pratica speditamente.
Tra altre categorie di bestiame bovino ci vennero poi fatte vedere: la prima comprendeva le vacche di migliore qualità, la seconda le bestie più scadenti, e la terza i vitelli.
Io, pur essendo cittadino svizzero, devo confessare che non potevo ammirare di più la bellezza di questi animali. Le vacche sono generalmente grigie, con piccole corna, piedi corti e carcassa lunga. I tori sono di un bellissimo colore oscuro e di statura imponente come non ho mai visto. Dalla piccola testa dagli occhi lucenti, pende la enorme giogaia dalla gola sino a terra e le parti posteriori, suscitando il ricordo delle fattezze del leone, mi rammentavano il Toro Farnese, giudicato ingiustamente da alcuni critici come troppo somigliante al re della foresta. Non trovo da osservare in questi tori, se non un eccessiva pesantezza di movimenti, ma bisogna dire anche, che raramente ho visto animali di mole così maestosa. Questo bestiame rimane all’aperto durante tutto l’anno, sotto qualsiasi intemperia.
Non si produce più burro di quanto occorra per il consumo della famiglia, essendo questo cibo poco adottato in tutto il Regno, dove si consuma e si gusta a preferenza l’olio. Del rimanente del latte si fa formaggio, la cui migliore qualità vien chiamata cacio cavallo ed è tenuto in gran pregio quantunque a me sembrasse asciutto e mi desse al palato come un senso di sego. Buone del resto il latte, il burro ed altre merci di questo genere fra le quali più specialmente certi sorbetti di latte che a me piacevano immensamente. Di questi latticini si fa ristretto commercio ma sono generalmente buonissimi.
Non c’è grande passione in tutto il Regno per l’allevamento del bestiame, eccetto nelle province dell’Abruzzo e della Calabria, dove in verità l’allevamento si fa in modo differente e, oltre il Duca di Martina, sono pochissimi i baroni che hanno vere razze di bestiame.