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Intervista di GIUSEPPE RUSCONI, apparsa sul ‘Corriere del Ticino’ del 24 maggio 2012, al banchiere Alfredo Gysi sulla ripresa dei negoziati con l’Italia

GYSI: UN’INTESA IN TEMPI NON BIBLICI

Il presidente del CdA della Banca della Svizzera italiana sulla ripresa dei negoziati con l’Italia e la presenza del Canton Ticino

A margine dell’incontro all’Istituto svizzero di Roma sulla crisi finanziaria globale abbiamo incontrato Alfredo Gysi, presidente del Consiglio di Amministrazione della BSI, per un’intervista sull’avvio dei negoziati fiscali tra Svizzera e Italia.

Come ha reagito quando ha saputo della ripresa delle trattative?

Credo che per il Ticino sia fondamentale la riapertura di un dialogo tra i due Paesi. Per lo sviluppo del nostro Cantone è di grande importanza la prospettiva di relazioni Svizzera-Italia basate sul reciproco rispetto e sulla reciproca disponibilità a ricercare soluzioni ai problemi sul tappeto. Naturalmente i negoziati saranno complessi, dato che i temi in discussione sono numerosi a differenza di quanto accaduto nelle trattative con Germania, Gran Bretagna e Austria, quando si è discusso di un solo, specifico dossier.

L’annuncio dell’avvio dei negoziati fiscali è stato salutato con una certa euforia dalla stampa italiana che ha prefigurato la possibilità da parte di Roma di incassare cifre ragguardevoli in provenienza dalla Svizzera: si è scritto, nei casi più prudenti, del ritorno di una somma di 10-15 miliardi di euro… in altri si è sognato un vero e proprio tesoro anche di 70-80 miliardi. Un’euforia giustificata?

Credo sia opportuno evidenziare che le stime saranno legate alle aliquote che verranno determinate. Nel nostro caso in esame aliquote troppo elevate rischiano di produrre risultati effimeri, perché pochi clienti alla fine deciderebbero di pagarle…

Elevate come quelle di Germania e Gran Bretagna?

Già l’accordo con l’Austria è diverso nelle aliquote da quelli precedenti. Penso che ogni accordo debba essere commisurato alle aliquote del singolo Paese interlocutore, così anche per l’Italia. Si deve poi ricordare che da una parte sta il gettito che deriva dalla regolarizzazione del passato e dai redditi futuri; altrettanto importante però il rientro di capitali ingenti nel ciclo produttivo del Paese da cui erano scappati. Credo che ci sia l’interesse di tutti affinché tali patrimoni vadano a incrementare la crescita nel rispettivo Paese.

Secondo Lei, come appare dalla stampa, l’Italia in questo momento economico e sociale molto critico, ha fretta di concludere positivamente i negoziati?

Con l’Austria i negoziati sono stati rapidissimi. Con l’Italia sono più complessi, ma ritengo che sia evidente per tutti (banche svizzere e clienti compresi) l’opportunità di trovare un accordo soddisfacente in tempi non biblici.

Come valuta la presenza ufficiale di un alto funzionario del Canton Ticino, Lino Ramelli, nel gruppo di lavoro ‘tecnico’ previsto?

Penso che sia importante che il Cantone sia direttamente coinvolto a livello di negoziati così come che l’Associazione svizzera dei banchieri riesca a far conoscere in tempo reale le specificità del sistema e della clientela italiana, un aspetto che rischia altrimenti di essere un po’ sottovalutato da Berna o dai grandi centri decisionali bancari.

Lei come considera l’eventuale presenza di un rappresentante politico del Canton Ticino all’annunciato vertice tra Mario Monti e Eveline Widmer-Schlumpf (previsto forse per metà giugno)?

Sia Monti che Widmer-Schlumpf sono, oltre che presidenti del Consiglio l’uno e della Confederazione l’altra, anche ministri delle finanze, dunque sono dei tecnici del settore. Una circostanza rara e molto favorevole alla comprensione dei problemi sul tappeto. Non penso che una presenza fisica ufficiale del Canton Ticino sia importante a tale livello; la presenza invece ci sia laddove può incidere.