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“La buona birra allieta il cuore degli uomini” Storie di imprenditori svizzeri a Torino La birra Bosio & Caratsch e Boringhieri
Birra Bosio Caratsch
La birra: la bevanda alcolica per eccellenza, buona, rinfrescante, dissetante e conviviale. Conosciuta fin dall’antichità (ne facevano uso gli Antichi Egizi, i Sumeri, i Greci e i Galli), a partire dall’anno mille circa viene preparata solamente con il luppolo, come accade ancora tutt’oggi. Fu Guglielmo IV di Baviera infatti, con il suo “Editto della purezza” dell’anno 1516, a sancire che la produzione della birra dovesse avvenire esclusivamente con malto d’orzo, luppolo e acqua, senza spezie o piante officinali che in passato venivano utilizzate per aromatizzarla.

La diffusione della birra in Italia è molto più tardiva che nel nord Europa, dovendo vedersela con la concorrenza del vino, molto apprezzato e più economico: fino al diciannovesimo secolo la birra rimane una bevanda esclusiva, per palati eccentrici e raffinati, conosciuta praticamente solo nei territori del nord Italia, maggiormente contaminati dalla cultura mitteleuropea.

A partire dai primi anni del 1800 iniziano a diffondersi i primi laboratori artigianali di birra sul territorio italiano, nelle regioni del nord, ma è solamente dalla metà del diciannovesimo secolo che sorgono le prime vere fabbriche della birra in Italia.

Solamente poche persone sanno però che grande impulso allo sviluppo e alla diffusione di queste attività venne dato da alcune eccellenti famiglie di imprenditori svizzeri residenti in Italia, in particolare nella città di Torino, zona ricca di acque sorgive, elemento fondamentale per la produzione della fresca bevanda.
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Nel 1845 venne fondata a Torino la “Bosio & Caratsch”, primo birrificio d’Italia, dalle omonime famiglie grigionesi. Fu in particolare il lungimirante Giacomo Bosio a rilevare pochi anni prima la piccola “Birreria del Giardino” per poi trasformarla, insieme alla famiglia Caratsch, in una realtà industriale capace di produrre, negli anni a seguire, oltre 7000 ettolitri di birra l’anno e di esportare anche nelle colonie dell’Africa Orientale.

L’azienda raggiunse fama mondiale grazie al particolare metodo di fabbricazione, che prevedeva esclusivamente l’utilizzo di luppolo e orzo, senza aggiunta di alcol, e all’innovativo metodo di distribuzione, con il confezionamento in pratiche bottiglie invece dei tradizionali fusti o barili.

Famoso era anche il motto dell’azienda: “bona cervisia laetificat cor hominum” (la buona birra allieta il cuore degli uomini).

L’eccellenza del birrificio “Bosio & Caratsch” venne certificata all’Esposizione Internazionale dell’industria italiana, tenutasi a Torino nel 1898, dove l’azienda fu premiata con la medaglia d’oro per la migliore birra e quale industria moderna.

La storia italiana del birrificio svizzero “Bosio & Caratsch” terminò nel 1937, con la cessione al gruppo proprietario della birra Pedavena, della zona di Belluno.
Boringhieri Un’altra importante famiglia svizzera stabilitasi a Torino, che svolse un ruolo di attore protagonista nel panorama dei birrifici italiani, fu la famiglia Boringhieri, anch’essa proveniente dal Canton Grigioni, il cui esponente Andrea (sposato con la figlia di Edoardo Bosio, direttore del birrificio “Bosio & Caratsch”) fondò nel 1876 la “Andrea Boringhieri & C. S.a.s.”, in seguito tramutata in “Boringhieri& C.”. Il birrificio Boringhieri era un edificio imponente in mattoni rossi, sito in fondo a Corso Vittorio Emanuele II, il più importante viale cittadino, ed era dotato, oltre alla parte produttiva, di un ampio Biergarten assai frequentato, soprattutto in estate, da moltissimi cittadini.

A partire dagli anni venti il birrificio Boringhieri si dotò anche di un reparto malteria all’interno dello stabilimento per svolgere le operazioni di maltatura dell’orzo. In questo modo il birrificio si affrancò dall’importazione di malto estero e poté creare una birra interamente italiana, in coerenza con la politica autarchica promossa dal regime fascista.

Il birrificio Boringhieri proseguì la propria attività anche dopo il secondo conflitto mondiale, fino alla fine degli anni cinquanta quando la Città di Torino, in esecuzione del piano regolatore che prevedeva la prosecuzione verso le zone periferiche dell’arteria stradale di Corso Vittorio Emanuele II, interrotta dall’edificio della Boringhieri, espropriò il terreno e demolì la fabbrica. L’attività dell’azienda proseguì ancora per qualche anno in un altro stabilimento, ma nel corso degli anni ’60 cessò definitivamente.

Alessandro Adami
unionegiovanisvizzeri@svizzeri.ch