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Volentieri pubblichiamo l’intervista della nostra socia Rossana Dedola con Sadhyo Niederberger, conservatrice e incaricata per l’arte dell’Ospedale cantonale di Aarau, Svizzera.

L’Ospedale cantonale di Aarau possiede una grande collezione di opere d’arte. Come è nata quest’idea che un ospedale potesse collezionare opere d’arte?

L’Ospedale cantonale di Aarau esiste da 130 anni. Dagli anni cinquanta primari, direttori e professori hanno cominciato a regalare all’ospedale delle opere dalle loro collezioni private. A queste si sono aggiunti anche affreschi, mosaici, vetrate, sculture e altre opere che sono ancora presenti e infine sono arrivate le commissioni per grandi opere e costruzioni, risultato di concorsi. Forse hai visto nella Casa 1, l’edificio principale, i tre lavori dell’artista franco-tedesca Gloria Friedmann. Molto interessanti sono anche le fotografie dal grande formato di Balthasar Burkhard, il famoso fotografo morto nel 2010, che si trovano davanti all’auditorium, oppure le opere di artisti come Niele Toroni, Richard Tuttle e Hugo Suter nell’edificio di Medicina interna che dimostrano l‘attenzione e la considerazione che c’è per l’arte in questo ospedale. Potrei fare anche una lista delle opere che si trovano nel parco o negli altri edifici. Parallelamente alle grandi opere spesso collegate all’architettura, sono state acquisite nella collezione anche opere “mobili che adornano i corridoi, le corsie, le camere dei pazienti, gli ambulatori, i laboratori, gli studi dei medici e gli uffici.

LOspedale di Aarau è un’eccezione in Svizzera oppure ci sono anche altri ospedali che possiedono delle loro collezioni?

Molti ospedali e cliniche private hanno una loro collezione, ma tra gli ospedali pubblici Aarau occupa un posto speciale. Per esempio l’Ospedale universitario di Zurigo che è un grande ospedale, espone delle opere che sono messe a disposizione dalla collezione cantonale d’arte che le sostituisce regolarmente con altre opere. Le opere che si trovano nell’Ospedale cantonale di Aarau appartengono invece proprio all’ospedale, è una collezione di più di 3000 pezzi che viene ingrandita ogni anno con nuove opere singole e con stampe originali. Ma ciò che contraddistingue il nostro ospedale sono le mostre che facciamo con artisti professionisti contemporanei, al contrario di molti ospedali che fanno mostre con pittori dilettanti e “amatori”. Noi invece organizziamo una sola grande mostra all’anno di questo tipo per i collaboratori dell’ospedale rendendo possibile a molti di esporre le loro opere. Si tratta di una mostra che ha una funzione di integrazione e che viene accolta in modo molto positivo.

Qual è il tuo ruolo in ospedale?

Mi occupo di due campi principali, la conservazione delle opere e nello stesso tempo sono anche l’incaricata per l’arte. Il primo compito consiste nel comprare opere, appenderle, spostarle, archiviarle o inventariare le donazioni. Come incaricata dell’arte organizzo mostre di artisti contemporanei e dirigo diversi progetti con artisti. Da qualche mese sto portando avanti un progetto con la musica che ha come scopo quello arricchire di performances musicali luoghi inusuali dell’ospedale.

Da quanto lavori in ospedale?

Sono stata assunta nel 2008 e sino ad allora la collega che mi aveva preceduto in questo lavoro e lo aveva fatto per 15 anni, si era concentrata soprattutto sulla conservazione delle opere. Io però mi sono accorta che molte persone avevano una reazione negativa o di difesa, avevano l’impressione che l’arte fosse qualcosa di elitario e che non avesse nulla a che fare con loro. Molti collaboratori dell’ospedale si erano abituati al fatto che la mia collega abbelliva i loro reparti con opere d’arte, senza però chiedere loro consiglio. Mi sono subito accorta che dovevo assumere un atteggiamento diverso, coinvolgendo le persone nel processo della scelta delle opere. Il magazzino in cui vengono conservati i quadri si trova nel piano interrato di uno degli edifici, è molto piccolo, ma è pienissimo, addirittura stipato di quadri, se bisogna mettere nuove opere in un reparto o in tutto un padiglione faccio venire tutto il team a scegliere le opere da mettere nei loro uffici e nei corridoi. Questo porta a un intenso scambio sull’arte, l’estetica, la cultura e non raramente si verificano dei momenti intensi in cui il gruppo si consolida e favorisce la formazione del team. Questa forma di comunicazione ha a mio parere un’importante funzione integrativa.
Quando circa dieci anni fa ho intrapreso questa attività, all’inizio mi conoscevano in pochi, ora invece in ospedale mi conoscono in molti, sono diventata una persona verso la quale nutrono fiducia e con cui comunicano. Quando appendo le opere parlo con le persone, che siano degli impiegati o pazienti o visitatori, e spesso mi accorgo che è come se aprissi per loro una finestra su un altro mondo e mostro che questo mondo non deve essere elitario, ma che ne possono discutere, possono assumere un atteggiamento diverso e che il modo in cui lo percepiscono conta. Non si tratta di giusto o di sbagliato, e tutti possono avere un’opinione. Ti faccio un esempio, qualche anno è stato comprato un grande quadro del pittore Urs Aechbach che è stato appeso nel grande ingresso di Ginecologia. Ne avevo proposto l’acquisto che era stato deciso dalla Commissione dell’arte e dal primario della clinica, ma proprio mentre lo stavo appendendo ho notato che le reazioni del personale erano ambivalenti e dopo solo due settimane ho sentito dirmi da un’impiegata: “Senti, questo quadro non mi piace!”. “Perché non ti piace?”, “Ah, è così negativo!”. “Perché è negativo?”. “Ah, perché…” Allora le ho spiegato che invece a me il quadro piaceva e che mi comunicava esattamente l’opposto, addirittura speranza. Tra le sbarre di legno rotte che per lei connotavano negativamente l’apertura sull’orizzonte, io vedevo la luce, il cambiamento. Era completamente entusiasta. In quel momento sono passate due infermiere e lei le ha chiamate: “Ehi, venite qui. Sadhjo, spiegalo di nuovo anche a loro”. E così ho spiegato anche a loro quale era il mio punto di vista. Alla fine eravamo almeno in dieci davanti al quadro; e anche se in fondo il quadro forse non gli è piaciuto, potevano comunque dire: “Ora capiamo gli artisti, abbiamo un rapporto con il quadro”. Ora non è più lì, al suo posto c’è un altro quadro, ma è rimasto appeso per qualche anno e ha dato molta gioia. Questo episodio mi ha mostrato che la comunicazione è molto importante e che nell’ascolto e nel dialogo si può trovare un modo per entrare nell’arte. È importante che le persone sappiano che sono aperta alla discussione e che non ho nessun interesse a imporre una visione, ma che posso mostrare come un’opera può essere letta, interpretata. Nel nostro mondo visivo si dimentica facilmente che si può imparare a vedere e che mi posso confrontare con ciò che si vede, posso osservare quello che succede se cerco di scoprire il segreto di un’opera. Così riesco a stabilire dei legami a, scoprire dei contenuti e a seconda dell’opera vederne anche aspetti storici, di natura sociale, psicologici, personali.

Come è lavorare in un ospedale? Nessuno va volentieri in ospedale.

Portare in ospedale un pubblico interessato all’arte è veramente difficile. Quando ho iniziato a lavorare in ospedale ho fatto moltissime esposizioni, addirittura dieci all’anno, ma ho smesso subito perché era troppo, era troppo per il pubblico. Ora faccio solo due mostre all’anno e porto avanti dei progetti in cui coinvolgo direttamente il pubblico. La prossima mostra sarà inaugurata in maggio, ho invitato cinque artisti le cui opere hanno un rapporto con la musica; da settembre è partito anche un progetto che si intitola ”Frisch bespielt- neue Klänge am Kantonsspital Aarau”. “Musica fresca- nuovi suoni nell’Ospedale cantonale di Aarau”. Ogni mese un musicista o una musicista suonano in luoghi in cui non ti aspetteresti, per esempio nei corridoi sotterranei, tra gli operai, nelle camere dei pazienti. Per il pubblico che è casualmente lì, è come un regalo, una pausa nel quotidiano Questi concerti sono resi noti solo internamente, per esempio è venuta da poco un soprano accompagnata da un suonatore liuto e il poco pubblico che si è radunato li ha seguiti attratto da loro per tutti gli edifici dell’ospedale.

Sei riuscita a coinvolgere il personale, gli infermieri, gli impiegati, ma i medici come hanno reagito, sono interessati a questi progetti e all’arte?

Ho osservato che molti medici sono interessati all’arte, alcuni sono dei veri collezionisti o hanno addirittura delle vere inclinazioni artistiche. Con loro sfondo una parta aperta e non devo fare molti sforzi per convincerli. Sento molto sostegno da parte dei medici e so che apprezzano il mio lavoro. Molti primari fanno dell’arte una cosa che li riguarda direttamente, ne vogliono discutere e incidere e sono orgogliosi se vengono esposte delle opere speciali nei loro reparti. Ci sono anche esempi di una grande iniziativa personale riguardo all’arte, nella Radio-oncologia per esempio il contatto del professor Bodis con due artisti ha permesso che nell’intero suo reparto fossero esposte le loro opere.

Qual è la reazione di fronte alle opere che sono esposte?

Ti faccio di nuovo l’esempio delle opere Gloria Friedmann nell’edificio principale. I suoi lavori di grandi proporzioni e che consistono di parti diverse furono scelti nel 1992 da una giuria specializzata nell’ambito di un concorso che riguardava “l’arte e la costruzione” e furono realizzati per l’ospedale. L’opera è formata da tre parti: il labirinto che si trova all’esterno davanti all’ingresso fatto di cespugli di bosso, un luogo d’attrazione per i bambini piccoli; il bosco di betulle che è nel cortile interno e che da primavera ad autunno offre ombra e invita all’ozio. Tra questi due luoghi nell’ingresso vero e proprio ci sono delle grandi tavole intitolate “I progenitori del futuro”, tavole di “materiali”, fatte di legno carbonizzato, penne nere di corvi, terra asciutta e molto di più. Sin dall’inizio queste tavole sono state motivo di grandi discussioni, molti erano convinti che la scelta operata dalla giuria di esperti non era adatta per le persone comuni. Ci furono accese reazioni anche tra i media e in ospedale. Oggi queste tavole vengono guardate con molta più calma e molto raramente c’è qualcuno che ha ancora qualcosa da ridire. La percezione dell’arte è cambiata e le tavole sono diventate una parte integrante dell’architettura.

Come interpreti questo lavoro della Friedmann, che cosa vuole esprimere l’artista?

Queste opere devono essere lette nello spirito del tempo, l’inizio degli anni Novanta. Sicuramente l’artista voleva confrontarsi con la vita e la morte degli esseri umani, il labirinto è chiaramente un simbolo della via della vita e il diverso tempo che stabilisce un confine alla vita. Al centro del labirinto ci si imbatte in un’ametista con incisa la parola “Zeit” (“tempo”); il bosco delle betulle è intitolato il “Canto del bosco”, anche qui nella sua parte più interna c’è una casettina rossa che oggi è coperta di edera in cui in origine c’era un’installazione che riproduceva il verso dell’usignolo, ma è stata smontata da tempo perché il suono ripetitivo disturbava. Le tavole “Gli antenati del futuro” sono fatte con i materiali che l’umanità ha sempre usato e che ha sviluppato, anche queste le leggo come una metafora del ciclo della vita.

Dalla nostra conversazione sono emersi due concetti molto interessanti: integrazione e arte elitaria.

Parto del concetto di arte elitaria. Molti che non hanno alcun rapporto con l’arte vedono il mondo dell’arte come un mondo elitario da cui sono tagliati fuori. Le cose si possono lasciare così, in un certo senso queste persone hanno ragione. Io però voglio favorire l’integrazione, mi interessa suscitare nelle persone entusiamo per l’arte, da sempre cerco di aprire porte e finestre sul mondo dell’arte. Naturalmente il mercato internazionale dell’arte è elitario, ma questo non ha niente a che fare con la realtà di un ospedale perché qui si tratta di arte nel senso di cultura, di qualcosa che appartiene all’uomo. Il mio ruolo come incaricata dell’arte mi permette di pormi come figura d’integrazione per l’arte, cerco di dare alle persone la possibilità di avvicinarsi all’arte naturalmente tenendo sempre presenti chi sono i miei interlocutori, i differenti livelli di età, la formazione, le diverse culture di provenienza e le lingue diverse. Perciò propongo un programma molto differenziato, una volta è intellettuale e molto esigente, un’altra volta è visuale e basato sulle percezioni sensoriali, un’altra lavoro con volontari e poi di nuovo mi avvicino in modo molto personale ai pazienti. Ci sono molte vie e diverse possibilità e mi diverto molto a progettare nuovi progetti e a realizzarli.

Quante lingue e quante culture sono presenti?

Alla fine del 2016 lavoravano nell’Ospedale cantonale di Aarau persone di circa 80 nazioni (il 70% con passaporto svizzero, il 16% con uno tedesco e il 14% con uno di un’altra nazionalità). I pazienti curati nell’ospedale nel 2017 provenivano da 164 paesi (il 75% dalla Svizzera, il 24% da un altro paese, invece dell’1% la nazionalità era sconosciuta).

E naturalmente bisogna considerare anche i visitatori. Come reagiscono all’arte?

Ci sono sensazioni e risposte molto differenti. Ecco la storia molto bella raccontata da un amico che andava a visitare tutti i giorni sua moglie gravemente malata. Doveva attraversare diversi edifici e il parco; procedeva aggrappandosi via via alle singole opere d’arte cercando di trarre forza dai quadri, si trattava di opere di pittori e artisti che conosceva. Mi ha detto dopo che non sapeva se avrebbe sopportato quel periodo così difficile senza la presenza di queste opere.