Terzo momento dell’intervento tenuto dal poeta e scrittore svizzero Carl Spitteler, di cui ricorre il centenario della morte, di fronte alla Nouvelle Société helvétique a Zurigo, il 14 dicembre 1914. Spitteler, Premio Nobel per la letteratura nel 1919, è noto soprattutto per questo suo discorso sulla neutralità pronunciato nel 1914, pochi mesi dopo l’inizio della Prima guerra mondiale in cui analizza i rapporti tra le varie zone linguistiche della Svizzera e della Confederazione con il resto dei Paesi europei. Le sue parole, malgrado sia passato più di un secolo, continuano ad essere drammaticamente attuali.
Il nostro punto di vista svizzero
Purtroppo la parte tedesca del nostro Paese non ha saputo adeguatamente sottrarsi alla tentazione opposta, quella di mostrare sentimenti poco amichevoli verso la Francia. In molte occasioni ho sentito i francesi chiedere con dolorosa sorpresa: “Che male abbiamo mai fatto agli svizzeri?” Davvero, mi chiedo che male ci hanno fatto. Voi lo sapete? Oppure avremmo una ragione plausibile per non fidarci specilamente della Francia? Diffidare di lei più di ogni altro vicino? Non ne conosco nessuna. Questi sentimenti ostili non hanno origine da ragionevoli motivazioni patriottiche, ma da sentimenti istintivi. Ora, l’espressione di questi sentimenti istintivi è stata a volte tale, durante le prime settimane di agosto, che mi sono trovato a desiderare che, a fianco delle anodine predicazioni militari, un vigoroso oratore politico si incaricasse di inculcare con energia i principi della neutralità ai nostri compatrioti. Del resto, da allora, è l’ufficio stampa del nostro stato maggiore ad avere la parola. E poiché parliamo tanto di parentela, non siamo parenti anche dei francesi? Non costituiscono forse una parentela anche la comunanza delle idee politiche, la somiglianza dei governi, l’analogia della vita sociale? Per gli svizzeri le parole “repubblica”, “democrazia”, “libertà”, “tolleranza” ecc. sono di secondaria importanza? C’è stato un tempo – un tempo che ho vissuto – in cui queste parole dicevano tutto in Europa. Oggi sono ridotte quasi a zero. Tutto può essere eccessivo, ma lo zero non basta. In ogni caso, noi svizzeri non disprezzeremo i francesi perché mancano di re, di imperatori e di “Kronprinzen”. Dobbiamo ammettere che un po’ ci siamo sentiti così!
L’esercizio della neutralità nei confronti degli altri Stati sarebbe insomma tanto più facile per noi svizzeri tedeschi in quanto siamo meno esposti alla tentazione della parzialità. Ah, se pensassimo e ragionassimo sempre come svizzeri, se non prendessimo a prestito il nostro giudizio da una mente straniera, se non lasciassimo che le nostre idee ci vengano inculcate dall’esterno! I mille e mille influssi che dalla Germania, giorno dopo giorno, come un Nilo benefico che feconda le nostre campagne, ci inondano, devono, in tempo di guerra, essere filtrati, perché il Nilo, in questo momento, brulica di coccodrilli. Inoltre la stampa in tempo di guerra non è letteratura edificante. L’ebbrezza patriottica può produrre grandi cose, ma ha un effetto decisamente nefasto sul modo in cui ci si esprime. È indispensabile avvelenare con l’inchiostro anche le ferite sanguinanti causate dalla guerra? In ogni caso, l’uomo che muore per la patria ha un ruolo più nobile di quello che ricorre all’insulto per difenderla. Dicendo questo non mi atteggio a giudice severo. Non agiremmo diversamente dai nostri vicini se fossimo in guerra come loro.
Voglio solo dare un avvertimento. I nemici dell’Impero tedesco non sono necessariamente i nostri nemici. Quindi non dobbiamo lasciarci dettare dai nostri i loro programmi, le loro antifone, i sofismi patriottici, i giudizi preconcetti e le idee distorte. I nemici dell’Impero tedesco non sono nostri nemici e non vanno giudicati per la maschera che l’odio e la rabbia hanno messo sui loro volti, ma per ciò che realmente sono. In altre parole, siamo tenuti, come neutrali, ad essere altrettanto equi nei confronti degli altri popoli quanto nei confronti del popolo tedesco, che – a sua volta – non dobbiamo considerare secondo l’immagine caricaturale che ne fanno i francesi.
Diamo allora un rapido sguardo ai nemici della Germania, per vederli con i nostri occhi, senza ricorrere agli occhiali. I tedeschi, come sappiamo, nutrono un odio del tutto particolare verso gli inglesi. Hanno ragioni speciali per questo che noi non abbiamo. Abbiamo anche ragioni contrarie. Abbiamo un debito di gratitudine verso l’Inghilterra. Tante volte, nei momenti di pericolo, ci ha teso la mano per aiutarci. Naturalmente l’Inghilterra non è l’unico amico della Svizzera, ma è sicuramente il suo amico più sicuro. E se qualcuno mi obietta: “puro egoismo”, mi auguro che ci siano di tali egoisti ad aiutarci nei momenti di bisogno. Ecco cosa dovrebbe dirci un insegnamento più completo della storia. Non ci sono solo Sempach e Morgarten che appartengono alla storia svizzera, ma anche la guerra del Sonderbund e l’affaire Neuchâtel. Nel frattempo, ritengo che uno dei compiti più urgenti della stampa svizzera sia quello di porre fine, una volta per tutte, a questi commenti che circolano ovunque sulla “perfida Albione”. Tutto questo infetta il nostro popolo.
Per l’Italia, invece, al momento, dall’altra parte del Reno scorre solo latte e miele. Ma se per caso un giorno di primavera il latte diventasse improvvisamente acido, spero proprio che non fermentiamo anche noi. Abbiamo un nostro conto con l’Italia. Fino ad oggi il bilancio è felice. Della Francia si è già parlato. Per quanto riguarda la Russia, un cristiano occidentale non può godere della sua cultura senza esprimere il suo orrore per la barbarie russa? Potrei, da parte mia, attingere alle osservazioni che ho fatto sul posto durante un soggiorno di otto anni. Preferisco attenermi semplicemente alle testimonianze dei tedeschi. Non è forse con questi stessi russi, rappresentati oggi come l’incarnazione degli asiatici, compresi quei dannati cosacchi, che la Prussia, per quasi un secolo, ha vissuto l’amore perfetto? Se l’alleanza potesse rinascere domani! …E poi facciamo il confronto con i turchi, i bulgari, i croati, gli slovacchi, ecc.
Come sappiamo, noi svizzeri abbiamo altre idee sul valore dei piccoli Stati e sul loro diritto ad esistere. Per noi i serbi non sono “un’orda di banditi”, ma un popolo. E un popolo che ha diritto alla vita e al rispetto come tutti gli altri. I serbi hanno una storia gloriosa ed eroica. La loro poesia popolare è bella come quella di qualunque nazione, e la loro poesia eroica è ancora più bella. Esiste infatti, dai tempi di Omero, un popolo che ha prodotto opere epiche belle come quelle dei serbi? I nostri medici e infermieri svizzeri, di ritorno dalla guerra nei Balcani, hanno avuto solo parole di simpatia e di elogio per i serbi. È su tali testimonianze che dobbiamo fondare la nostra opinione, e non sulle parole di una stampa traviata dalla passione.
Il Belgio in sé e per sé, non ci riguarda, mentre il suo destino, al contrario, ci preoccupa in modo particolare. Gli stessi invasori hanno ammesso a prima vista i loro torti nei confronti di questo paese. In seguito, per ripulire il suo nome, Caino ritenne opportuno sporcare Abele. Frugare nelle tasche della vittima ansante per trovare documenti mi sembra un’aberrazione del senso della morale. Tagliare la gola della vittima era più che sufficiente. Denigrarla dopo è troppo. Ma se uno svizzero si mettesse in testa di unirsi agli insulti contro lo sfortunato Belgio, commetterebbe un’impudenza complicata dall’idiozia. Perché state tranquilli, il giorno in cui verrà presa di mira la vostra esistenza, vedrete sorgere anche contro di voi queste cosiddette prove di colpa. Anche il veleno fa purtroppo parte delle munizioni di guerra.
Infine, per quanto riguarda la nostra indignazione verso l’aiuto fornito dalle persone di colore, mi piacerebbe che in materia di sport si distinguesse tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Ma la guerra non è uno sport, qualunque cosa pensino alcuni ufficiali di alto rango. La guerra è una lotta inesorabile per la vita di una nazione. E quando si tratta di vita o di morte, qualsiasi aiuto è il benvenuto, indipendentemente dalla persona o dal colore della pelle. Se un assassino ti minaccia con un coltello, istintivamente chiami il tuo cane da guardia per aiutarti. E se l’assassino si fosse messo in testa di guardarlo dall’alto in basso e gridare: “Non ti vergogni di usare un animale a quattro zampe, privo di ragione, contro un tuo simile?”, non esiteresti a rispondergli: “Mi dispiace, ma è il tuo coltello che mi impedisce di vergognarmi”.