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La rubrica Antologia propone un viaggio letterario sulla Svizzera e la sua cultura; una panoramica su come è stata percepita e conosciuta la Confederazione al di fuori dei suoi confini e come lei stessa ha visto il mondo che la circondava. Di volta in volta uno spaccato di queste visioni del mondo ci verrà proposto da un racconto, l’estratto di un romanzo o di un saggio.
Questo racconto è tratto dal volume “Traditions et légendes de la Suisse romande”, una raccolta fiabe e leggende della Svizzera romanda edita da Alexandre Daguet nel 1872 che raccoglie gli scritti di vari autori.
Il racconto “Il duca di Zæhringen ed il carbonaio” è raccolto dallo stesso Daguet, nato nel 1816 a Friburgo, professore di scuola secondaria, direttore di vari istituti scolastici e docente di storia e archeologia all’Accademia di Neuchâtel e politico.

Il duca di Zæhringen ed il carbonaio

Friburgo non esisteva ancora ed il castello dei duchi di Zæhringen, una grande massa nera fiancheggiata da una grossa torre circondata da fossati e da un ponte levatoio, era l’unica dimora in pietra che si poteva trovare nella selvaggia regione dell’Uechtland. Alcune casette di pescatori, di carbonai e di taglialegna si potevano vedere sparse qua e là sulle rive della Sarine coperte di cespugli.

Il duca di Zæhringen, Berchthold IV, era andato a caccia nelle foreste nere che separano Tavel da Dirlaret. Al suo ritorno, fu sorpreso sia dalla notte che da un violento temporale, e si ritrovò improvvisamente separato dagli uomini del suo seguito.

Stremato dalla fatica, andò a bussare alla casa di un carbonaio dove vedeva una luce accesa. Il padrone di casa, povero come il carbonaio Alessandro divenuto vescovo di Vercelli, ma ospitale com’era allora la gente, aprì la porta allo straniero senza timore dei briganti e gli offrì uno sgabello vicino al focolare, una parte della cena, che consisteva in pane e formaggio e un angolo per riposare nell’unica stanza della capanna. Il carbonaio, senza dubbio, non aveva riconosciuto il duca di Zæhringen che, per cacciare la volpe o il lupo, non aveva indossato la sua più bella corazza, né il mantello foderato d’ermellino, né il farsetto di corte con ricami d’oro e il cappello piumato.
Quanto al duca, non ritenne opportuno rivelare al suo ospite chi fosse. Si scaldò tranquillamente, parlò del brutto tempo, mangiò come un carbonaio affamato, e quando gli mostrarono il suo letto improvvisato, vi si gettò senza guardarsi intorno, completamente vestito, come un uomo felice e abituato dormire sotto le stelle, carbonaio, carbonaia e piccoli carbonai che gli russavano attorno!

Il giorno successivo, quando il duca aprì gli occhi, tutti i suoi compagni erano scomparsi, ed era pieno giorno, almeno per quanto si poteva indovinare attraverso la finestra di carta che illuminava la stanza del suo ospite.
Il principe apre il lucernario e osserva la campagna circostante. Il cielo era sereno, gli alberi ed i prati erano verdi, le cince e le rondini cantavano fino sul tetto della capanna. La Sarine, così impetuosa il giorno prima, mormorava quasi come un ruscello. Alzando lo sguardo, Berchthold poteva vedere il suo maniero, la cui gigantesca torre rifletteva vividamente i raggi di un sole alto nel cielo.

La roccia che sosteneva il castello e dove oggi si snodano le case della Grand’rue, risplendeva di uno splendore straordinario per il riverbero della luce sul bosco ceduo che ne coronava la cresta. La bellezza e la freschezza del mattino, il riposo appena goduto dopo il salutare esercizio del giorno prima e la visione grandiosa e allo stesso tempo aggraziata che si aprì davanti al suo sguardo risvegliarono nell’animo del principe i pensieri più allegri e più generosi.

Da tempo meditava la fondazione di una città che tenesse a freno i cento inquieti baroni di Borgogna: era trattenuto dall’esecuzione del suo progetto solo dalla difficoltà di trovare un luogo adatto. In quel momento, e mentre contemplava con entusiasmo questo paesaggio, un’ispirazione gli attraversò la mente come un fulmine: “Perché”, esclamò Berchthold, “non dovrei costruire la mia città sulla roccia che sostiene il mio maniero? Per Saladino! Non la costruirò da nessun’altra parte! Il bastione inizierà dal mio castello e seguirà lungo questa roccia a strapiombo fino all’angolo che forma, sul lato del prato della Sarine, l’abbassamento della roccia; da lì, un secondo muro circonderà la roccia davanti alla deviazione che forma la Sarine mentre avanza verso Loyes. I miei borghesi, li voglio liberi e sempre armati, vivranno in una città franca! Gli concederò uno statuto come non si è mai fatto. Ma i miei liberi borghesi hanno bisogno di una bandiera! Sì, che colori darò alla mia città franca?”

Mentre si poneva queste domande, Berchthold, si mosse e involontariamente guardò il suo costume, che non aveva ancora onorato con uno sguardo. Quale fu la sua sorpresa e la sua voglia di ridere, vedendo il suo farsetto e i suoi calzoni tutti neri, tutti coperti di fuliggine da un lato, e tutti bianchi, tutti infarinati dall’altro.
Si avvicina al suo giaciglio; il carbonaio o la carbonaia, non aveva trovato di meglio per fare un letto al loro ospite che sistemare due sacchi di carbone che avevano coperto con un sacco di farina. Il lato che il principe aveva appoggiato sul sacco del carbone era nero, l’altro lato, che aveva toccato leggermente il sacco della farina, si era naturalmente ricoperto di un sottile strato bianco.

L’abilità dei suoi ospiti rallegrò il duca: “Per Saladino”, disse (era un giuramento usato tra i principi fin dai tempi della crociata), “la mia città franca di Friburgo non avrà altri colori che quelli del letto del carbonaio”.

La cronaca vera da cui traiamo questo fatto si ferma qui, a nostro parere molto impropriamente, e non dice, come dovrebbe, quale ricompensa il duca abbia concesso ai suoi ospiti: se ampliò la casetta che l’aveva ospitato o la dotò di un piccolo terreno; se abbia dimostrato la sua gratitudine in monete d’oro, o se magari abbia concesso loro qualche incarico tra la gente del castello. Ma certo un principe così generoso non avrà lasciato senza alcun segno di gratitudine, persone che lo avevano ospitato semplicemente, ma con tanta grazia e cordialità.