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Una recente ricerca evidenzia quanto si difficile per le persone vittime, in Svizzera, di misure coercitive a scopo assistenziale e di collocamenti familiari o in istituto richiedere i contributi di solidarietà che gli spettano.

La CPI, Commissione peritale indipendente, istituita dal Consiglio federale per effettuare un’analisi scientifica per gli internamenti amministrativi prima del 1981 ed un gruppo di ricercatori del Progetto Sinergia “Placing Children in Care 1940-1990” hanno evidenziato le varie sfide e le difficoltà che rendono difficile, se non impossibile, alla vittima accedere, ancora oggi, al contributo di solidarietà.

Il dato cui si fa riferimento emerge da una serie interviste biografiche condotte con persone che hanno subìto queste misure ed i lavori di ricerca evidenziano gli svariati motivi che fanno sì che non tutte le vittime richiedano un contributo di solidarietà malgrado ne abbiano diritto.

La CPI Internamenti amministrativi segue con grande interesse le discussioni sul numero di domande pervenute all’Ufficio federale di giustizia (UFG) per un contributo di solidarietà a favore delle vittime di misure coercitive a scopo assistenziale e collocamenti extrafamiliari, avvenuti prima del 1981 e le indicazioni che si possono ricavare da questi dati non intaccano l’importanza del contributo stesso, né autorizzano a credere, dal numero delle domande, che il numero delle vittime sia inferiore a quanto ipotizzato.

La CPI ha realizzato circa 60 interviste biografiche in tutta la Svizzera con persone già internate a titolo amministrativo e questa ricerca permette di fare luce sui motivi che spingono le vittime a non richiedere un contributo, pur potendo legittimamente farlo; un quadro analogo emerge dal progetto FNS Sinergia “Placing Children 1940- 1990”. Anche in questo contesto emergono alcuni motivi che trattengono gli interessati dal presentare domanda: in alcuni casi le vittime versano in pessime condizioni di salute o non hanno le risorse emotive per presentare richiedere il contributo poiché questo lavoro di memoria costa caro e non tutti hanno la salute e l’energia mentale per farlo; in altri casi le vittime sono diffidenti nei confronti dell’autorità e temono di poter venire di nuovo perseguitati, non vogliono mettere a repentaglio l’indipendenza conquistata grazie ad una elevata resilienza e temono le possibili reazioni del contesto sociale in cui vivono perché presentare domanda significa rivelare il proprio passato e dichiarare di essere stati vittime di misure coercitive a scopo assistenziale, misure che suscitano, nei diretti interessati spesso desiderosi solo di poter “vivere in pace” , ancora vergogna e timore di una nuova stigmatizzazione.